AGGIORNAMENTO: Poco dopo le ore 22.00, l’Rcc di Malta, il centro di coordinamento di ricerca e soccorso, ha autorizzato lo sbarco delle 52 persone a bordo della nave Talia, che aspettava da cinque giorni in mare.
Mohammad Shaaban ha cinquanta problemi più uno. Cinquanta come i migranti a bordo del suo mercantile, la nave porta bestiame Talia. E uno, non trascurabile per lui, riguarda i costi di sosta della vascello, che doveva recarsi a ritirare un carico e per ogni giorno di ritardo dovrà pagare una penale che nessuno gli rimborserà. Non è la prima volta, ed è un’arma molto efficace, adoperata consapevolmente da democrazie avanzate come Italia e Malta che così facendo hanno provocato una modifica delle rotte tradizionali nel Mediterraneo Centrale, al solo scopo di evitare di finire impantanati in un salvataggio e nel tira e molla dei governi.
Nessun armatore vuole correre quel rischio e basta osservare piattaforme come Marine Traffic o Vessel Finder per notare come oramai le compagnie preferiscano spendere più denaro in carburante scegliendo traiettorie più lunghe, che incappare in un barcone. Il capitano della nave Talia non lo ha fatto, e potrebbe essere il suo ultimo salvataggio. Perché probabilmente i proprietari della nave suggeriranno vie alternative. Nessuno può permettersi giorni e giorni di stallo, a meno di perdere incarichi e passare la mano alla concorrenza.
«I migranti che abbiamo salvato sono in pessime condizioni di salute, non abbiamo più cibo, acqua, siamo tutti molto stanchi. Abbiamo veramente bisogno di aiuto – ripete Mohammed Shaaban in un video -. Spero che Malta faccia sbarcare il prima possibile queste persone. Facciamo appello a tutti: per favore, per favore aiutateci!».
L’equipaggio è pressoché interamente formato da siriani. Gente che naviga con il timore di non trovare più la casa e la famiglia, una volta che saranno sbarcati per i turni di riposo. Mentre l’attenzione è rivolta a Malta, che ha evacuato 2 dei 52 profughi soccorsi, proprio il comandante Mohamed indica ancora una volta le responsabilità italiane.
LA FOTO SIMBOLO DEL TRASBORDO DEL MIGRANTE MALATO
«Dopo il soccorso abbiamo proceduto verso Lampedusa», spiega dalla nave mentre attende che qualcuno gli dica cosa fare. L’isola delle Pelagie era la scelta più naturale, perché più vicina geograficamente e perché i soccorsi sanitari ai migranti messi peggio (con segni di torture, percosse, ossa spezzate) sarebbero potuti arrivare prima. Invece no. «L’Italia ha rifiutato questi migranti. Allora abbiamo chiamato Malta e ci siamo diretti verso le loro acque territoriali».
Eppure sarebbe bastato guardare le previsioni meteo per autorizzare il trasbordo immediato verso Lampedusa e non infliggere ai naufraghi l’indecenza di venire sistemati nell’unico posto disponibile, la stiva destinata alle bestie. Perché in arrivo c’era mare grosso.
“È arrivata una tempesta e siamo stati costretti, per evitare onde altissime, a spostare i migranti sul ponte 6 che usiamo per il trasporto degli animali, ma è un luogo sporco non adatto alle persone», racconta Shaaban, piuttosto arrabbiato per quello che è stato costretto a fare a causa degli scaricabarile tra Roma e La Valletta. E quando dice “sporco”, non parla di polvere, ma di tutto ciò che migliaia di animali si lasciano dietro ogni volta che il carico viene consegnato.
Le terribili condizioni in cui si trovano i migranti salvati a bordo della Talia - Ansa
«Abbiamo rispettato la legge internazionale e non possiamo approdare in Europa», denunciano dalla nave, ma non possiamo credere che un mercantile con limitate possibilità di assistenza compia il suo dovere mentre uno Stato come Malta ora non assegni un porto sicuro come previsto dalla legge», aggiunge Shaban. Ieri dal centro dei soccorsi de La Valletta, dopo che il capitano aveva inviato l’aggiornamento sulla condizione di salute dei migranti, molto debilitati e visibilmente ridotti pelle e ossa dal lunga prigionia in Libia, hanno inviato istruzioni sanitarie. Sulla nave l’equipaggio non credeva ai propri occhi: “Dategli paracetamolo ogni 6 ore”. Un’aspirina per guarire da un inferno chiamato Libia.