Da venerdì, quando ha affidato il preincarico a Bersani, gli occhi di Giorgio Napolitano hanno dovuto vedere di tutto. Berlusconi in piazza, Bersani a corteggiare M5S con l’ineleggibilità... «Se il dialogo fosse iniziato tre giorni fa...», dicono dallo staff del capo dello Stato riportando l’umore scettico dell’inquilino del Colle. Pessimismo e speranza si mischiano. Ma il presidente della Repubblica sembra invaso soprattuto da un profondo realismo: «Si è perso molto tempo, sono state sprecate ore preziose rifiutando o impedendo il dialogo».Una frase ecumenica, che in teoria chiama in causa tutti. Ma che sembra indirizzata in modo particolare al leader che ha ricevuto l’incarico di formare un governo, Pier Luigi Bersani. Che la situazione del Paese fosse grave, si ragiona al Quirinale, lo si sapeva anche 72 ore fa. Che i grillini rifiutassero il dialogo per principio anche era scontato. Insomma, ci si poteva muovere prima, venirsi incontro subito. Ora, è la domanda che si fa il capo dello Stato, basteranno 24 ore per trovare un accordo che (formula minima) consenta a Bersani di partire con un governo o (formula massima) permetta addirittura di comporre una squadra che tenga dentro politici e tecnici d’area del Pd, del Pdl e di Scelta civica? Non c’è da dare risposte, ma da attendere giovedì, quando il segretario Pd tornerà al Colle. E dovrà farlo con uno schemino matematico preciso nei dettagli. Numeri alla mano, insomma. Altrimenti, è noto, il capo dello Stato riprenderà il pallino tra le mani e proverà un secondo giro di tavolo. E nessuno potrà sottrarsi, nemmeno Bersani e il Pd. Gli assi nella manica ci sono: il presidente del Senato Pietro Grasso, oppure il segretario generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni. Per evitarlo, il segretario Pd ha un giorno e mezzo. Oggi incontrerà Scelta civica e, alle 16.15, la delegazione congiunta Pdl-Lega. Di fronte avrà Alfano e Maroni, e non Silvio Berlusconi che si tiene da parte e scalda i muscoli per la campagna elettorale. Poi, domani mattina, l’ultimo faccia a faccia con i capigruppo di M5S (chissà che, a sorpresa, non si presenti anche Beppe Grillo...). Nulla è scontato. Nemmeno il sostegno numerico (decisivo) al Senato di Scelta civica. I montiani, che al momento registrano una profonda divisione interna tra montezemoliani e l’area del ministro Riccardi, possono mettere le loro pattuglie a disposizione solo se c’è un’intesa tacita o esplicita con il Pdl. E, ovviamente, vorrebbero dei ministri in dicasteri-chiave. Soprattutto, vogliono contare su Europa, riforme e indirizzo economico. «Niente governicchi», ripete Andrea Olivero mettendo a tacere le tensioni interne. In questo scenario anche Mario Monti recupera centralità, anche perché un eventuale "governo del presidente" o "di scopo" si muoverebbe in continuità con il suo esecutivo. Anche per questo motivo ieri il premier in carico ha alzato la voce contro l’editorialista del Corriere della sera Ernesto Galli della Loggia, molto critico verso il "nuovo centro": «Se non vi fossero stati quei voti a Scelta civica, provenuti in particolare dalla destra, la coalizione Pdl-Lega sarebbe ora in grado di formare il governo e, dal 15 aprile, di eleggere il presidente della Repubblica». Una difesa a spada tratta della sua funzione di interdizione alla "vecchia politica" di centrodestra e centrosinistra.