Il tentativo di tenere Giorgio Napolitano al Colle ancora per un po’ l’ha fatto, Matteo Renzi, ma senza troppa convinzione. «Qualche settimana in più», azzarda il premier, uno slittamento da fine dicembre a fine gennaio al massimo. Ma il presidente della Repubblica sembra aver deciso che il messaggio al Paese di fine anno sarà il suo commiato.E allora il vertice di ieri è servito ad altro, non certo a definire la tempistica delle scelte del capo dello Stato. Invitati al Colle Renzi e il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi. Tema unico: definire un nuovo percorso per condurre in porto le due riforme principali, la legge elettorale e il superamento del bicameralismo perfetto. «Durante il colloquio – dice una nota del Quirinale – è stato ampiamente esposto il percorso che il governo considera possibile e condivisibile con un ampio arco di forze politiche per quello che riguarda l’iter parlamentare dei due provvedimenti fondamentali già a uno stato avanzato di esame, i quali sono incardinati per la seconda lettura. Un percorso che tiene conto di preoccupazioni delle diverse forze politiche, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra legislazione elettorale e riforme costituzionali».Poche parole che dicono la preoccupazione di Napolitano per strappi che conducano dritto alle urne. E che dicono anche il nuovo proposito di Renzi di aprire una trattativa più serena sia dentro la maggioranza sia con le opposizioni. Il punto di caduta ideale sembra un percorso di questo tipo: entro Natale il voto sull’Italicum in commissione Affari costituzionali del Senato con incorporato quel "lodo-Calderoli" che vincola l’entrata in vigore della legge elettorale al completamento della riforma del bicameralismo, e successivo approdo in Aula a inizio gennaio; in contemporanea, esame a Montecitorio tra il 16 e il 20 dicembre della "grande riforma costituzionale" (così ha concordato ieri la capigruppo della Camera). Un doppio risultato che darebbe modo a Napolitano di lasciare formalmente il Colle entro la prima quindicina di gennaio considerando - a beneficio dei mercati e dei partner Ue - il Paese «ben avviato» sulla strada del cambiamento.Va da sé che i passi di dicembre e gennaio sulle riforme, però, saranno parziali e rilevanti solo dal punto di vista politico. Il varo definitivo dell’Italicum avverrà, nella migliore delle ipotesi, dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato, e rifletterà, anche nei dettagli, gli equilibri parlamentari. L’iter complessivo delle riforme sarà obiettivamente rallentato dalle settimane che occorreranno per scegliere, tra mille turbolenze dei gruppi alle Camere, il nuovo inquilino del Colle. A fronte di questi dati incontrovertibili, Renzi è ancora più convinto che tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 vada dato un segnale di velocità e dinamismo: «Faremo rapidamente, andremo velocissimi», dice al
Tg1 della sera quasi ad allontanare le ombre di un rinvio
sine die delle riforme. «Siamo ad un passo dalla chiusura e tra dicembre e gennaio ce la facciamo. E dopo diremo un doppio grazie al presidente».La difficoltà di Berlusconi a controllare Forza Italia, la dissidenza democrat che cresce, il timore trasversale delle urne anticipate sono ostacoli reali. Che Napolitano ieri ha provato a fare suoi e a trasformare in una fitta
moral suasion sul premier. Perciò in serata Renzi avverte la necessità di lanciare un messaggio rassicurante al Parlamento: «Se faremo le riforme lavorando sabato e domenica come accade adesso la legislatura arriverà al 2018, Napolitano lo sa e su questo non ha bisogno di essere rassicurato». Nel lessico del premier, è un invito a tutti a non aver paura, a non temere una corsa verso le urne. Da qui la sua disponibilità, ormai nemmeno tanto nascosta, ad accettare quella clausola - ieri messa nero su bianco dal solito Calderoli - per cui la legge elettorale resterà congelata sino a quando non sparirà il Senato elettivo. E ormai non si esclude che Renzi possa offrire anche altre aperture ai vari fronti di opposizione.Certo il terreno è friabile e la prospettiva del voto con il Consultellum resta in piedi. «Non ho paura né di Salvini né di Berlusconi», assicura Renzi. Prima di tornare a Palazzo Chigi per una cena a base di pizza con Tony Blair. Già, il suo mito. L’uomo giusto al quale chiedere come fare le riforme senza restarne intrappolato.