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«Non è stata una retromarcia totale, ma la correzione di un passaggio specifico del testo. Resta la formulazione restrittiva della protezione speciale, limitata a poche fattispecie eccezionali, ma abbiamo recepito perplessità che arrivavano da alcune parti. Il dibattito in Parlamento serve a questo, no?». Alle 20.30, al telefono con Avvenire, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, primo firmatario dell’emendamento di maggioranza approvato in Aula qualche minuto prima, prova a ridimensionare il punto di caduta della lunga e convulsa giornata di votazioni a Palazzo Madama sulla conversione in legge del cosiddetto decreto Cutro. Stamani alle 10 il voto sugli emendamenti rimasti proseguirà, fino al parere dell’Aula sul provvedimento, atteso poi alla Camera, dove dovrà essere esaminato entro il 9 maggio (quando scadranno i 60 giorni di efficacia). E il clima resta teso con le Regioni, che chiedono un incontro al governo sullo stato di emergenza. Mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, alla Camera, ribadisce: «Vogliamo decongestionare l'hotspot di Lampedusa, da inizio anno sono state salvate 21.988 persone».
La stretta (con correzione). Alla fine, come detto, il giro di vite caldeggiato dalla Lega è comunque passato: la protezione speciale sarà limitata a casi «eccezionali » (fra cui «cure mediche, calamità naturali e vittime del reato di reato di costrizione e induzione al matrimonio») con ulteriori paletti: ad esempio, si potrà restare in Italia solo per patologie «non adeguatamente curabili nel Paese di origine». Non potrà più essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro. Un via libera travagliato, tuttavia, dopo alcune interruzioni dei lavori e un chiarimento fra le forze di governo.
Le frizioni sul “canguro”. La mattinata si apre all’insegna delle frizioni con le opposizioni, che temono che un maxi-emendamento “premissivo” del governo (in gergo “canguro”, perché salta tutti i successivi emendamenti) scavalchi il voto sulle loro proposte di modifica. Ma il presidente del Senatro Ignazio La Russa convoca i capigruppo, per trovare un accordo che tuteli le minoranze ed evitare che l'Aula si trasformi in una bolgia. Infine, la maggioranza ritira il “canguro”. E si inizia a votare uno a uno tutti i 300 emendamenti, compresi i pochi di maggioranza, poi approvati.
La mossa di Gasparri e i dubbi di Molteni. Alla 19 il secondo picco di tensione, stavolta interno alla maggioranza. Gasparri propone di “riformulare” il proprio emendamento all’articolo 7, riguardante i permessi speciali, sopprimendo un comma che cancellava i riferimenti alla legislazione internazionale sulla tutela dei diritti umani. Ma il sottosegretario leghista all’Interno Nicola Molteni è sorpreso e chiede di accantonare l'emendamento, perché «non si è capita bene la riformulazione proposta ». E il Senato sospende i lavori, finché un chiarimento in maggioranza non riapre la strada al voto.
Una moral suasion del Colle? La correzione in corsa sarebbe arrivata perché altrimenti l'emendamento non avrebbe passato il vaglio costituzionale. Qualcuno (ma non ci sono conferme) attribuisce la retromarcia a presunti contatti tra il Colle e Palazzo Chigi, che avrebbe poi frenato la Lega. Sia come sia, è presumibile che l'eliminazione del rispetto dei trattati internazionali avrebbe rappresentato, in sede di promulgazione del testo da parte del capo dello Stato, un vulnus arduo da sanare. Le opposizioni, che hanno visto respingere le loro proposte , parlano di una maggioranza finita «nel caos», per dirla col capogruppo dem Francesco Boccia. E scoppia un’altra polemica sui senatori di Fdi, accusati dal dem Filippo Sensi di non aver applaudito dopo che la senatrice del Pd Enza Rando ha letto i nomi dei 94 migranti annegati a Steccato di Cutro. Insomma, le tensioni restano. E oggi si ricomincia.