È il nono giorno della Sea Watch lasciata alla deriva al confine delle acque territoriali. Ma oggi è anche il giorno nel quale il vicepremier Matteo Salvini con una lettera al presidente del Consiglio ribadisce la presunta e tanto sbandierata linea dura sui porti chiusi, chiedendo che siano i Paesi Bassi - poiché la Sea Watch ha bandiera olandese - a farsi carico dello sbarco delle 43 persone ancora a bordo della nave della Ong. Ed è il giorno in cui il Tribunale di Catania dispone l'archiviazione per Salvini, Conte, Di Maio e Toninelli riguardo all'ipotesi di reato di sequestro di persona sulla nave Sea Watch, con riferimento ai fatti dal 24 al 30 gennaio.
È, infine, il giorno in cui a Lampedusa possono approdare 81 altre persone. Mentre le 43 a bordo della Sea Watch, no: loro restano in mare. Nonostante l'ennesimo richiamo dell'Alto commissariato per i rifugiati (Acnur) diretto al governo italiano. "L'Italia ha la responsabilità di far sbarcare queste persone" e "nessuno dovrebbe tornare" nella Libia scossa dalla guerra, secondo la portavoce dell'agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) Babar Baloch. "Questi disperati devono essere sbarcati, è un obbligo sancito dalle norme internazionali", ha aggiunto.
Da bordo della Sea Watch 3 intanto il medico ha fatto appello attraverso un video alla necessità di far scendere le persone perché molti di loro hanno "dolori qui non curabili a causa delle torture. Non vi parlo da medico - ha aggiunto Verena - vi parlo da essere umano. Aiutateci a trovare un porto sicuro. Per favore, aiutateci a far sbarcare queste persone dalla ns nave, ora".
🔵 “Abbiamo molti pazienti con dolori qui non curabili a causa delle torture. Non vi parlo da medico, vi parlo da essere umano.
— Sea-Watch Italy (@SeaWatchItaly) 21 giugno 2019
Aiutateci a trovare un porto sicuro. Per favore, aiutateci a far sbarcare queste persone dalla ns nave, ora”.
Verena, medico a bordo di #SeaWatch.
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Il braccio di ferro è tutto politico e mentre l'attesa a bordo della Sea Watch 3 si protrae, altre imbarcazioni, non legate alle Ong internazionali, sono approdate a Lampedusa dopo aver soccorso e fatto sbarcare circa 100 persone. È stato Mediterrean Hope, il progetto sulle migrazioni della federazione delle chiese evangeliche in Italia, su Twitter a dare la notizia di quello che si configura come l'ennesimo sbarco autonomo sull'isola di Lampedusa, per il quale non viene richiesto un pos, place of safety al Viminale. Si tratta del terzo sbarco di questo tipo in poco più di 24 ore.
I primi 81 sono sbarcati all'alba con un gommone dopo essere stati lasciati al largo delle coste dell'isola da un peschereccio che stava tentando di fare rientro verso le coste del Nord Africa. La cosiddetta "nave madre", il peschereccio in questo caso, è stata intercettata e bloccata da una motovedetta della Guardia di Finanza. L'equipaggio, 6 persone di nazionalità egiziana e una tunisina sono stati fermati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La Procura di Agrigento ha disposto il sequestro a Licata del peschereccio.
Subito dopo si sono registrati altri due "mini sbarchi", con 12 e 7 migranti, ma non è ancora chiaro se siano da ricondurre al peschereccio sequestrato.
Tra loro anche 4 donne e 3 bambine. "Le persone che hanno dichiarato di esser partite dalla Libia, Zuwara - si legge nel tweet - erano originarie di Bangladesh, Senegal, Algeria, Siria, Marocco, Tunisia e Libia".
E sempre sull'isola va avanti la protesta solidale per le 43 persone salvate e l'equipaggio della Sea Watch: “Fateli scendere” chiedono le persone che a Lampedusa che hanno scelto di dormire sul sagrato della chiesa per restare vicini ai naufraghi abbandonati a loro stessi, a bordo della Sea Watch 3.
A organizzare l’iniziativa a favore dei “salvati” e dei “salvatori” è stato il Forum Lampedusa Solidale per volere del parroco di Lampedusa, don Carmelo La Magra, insieme a Mediterranean Hope, che hanno coinvolto quanti più partecipanti possibili.
«Ci veniva difficile dormire sui nostri letti comodi e resteremo qui fin quando non verranno fatti sbarcare i migranti», spiega don Carmelo che dà appuntamento a chiunque voglia partecipare per stasera a partire dalle 22 davanti alla chiesa dell’isola. Durante la prima notte lampedusani e turisti hanno dimostrato la loro vicinanza al gruppo del Forum di Lampedusa Solidale, chi portando della pasta o del cous cous, chi il caffè: «In tanti sono stati con noi fino a tarda sera, donandoci un po’ del loro tempo».
Una situazione ancora più critica che in passato, molto dura e preoccupante, sia dal punto di vista della vita quotidiana, che scorre senza nessuna attività, con evidenti ripercussioni sulla salute psicofisica delle persone ristrette (fino a sei mesi o anche più), sia per quanto riguarda le condizioni materiali degli ambienti, spesso danneggiati o incendiati da precedenti ospiti ma mantenuti in tali condizioni di deterioramento e di assenza di igiene. È la fotografia dei Cpr (Centri per il rimpatrio) in Italia secondo il Garante delle persone private della libertà Mauro Palma.
La denuncia del Garante sui centri per il rimpatrio: peggio del carcere, "condizioni deplorevoli"
A distanza di alcuni mesi dalle ultime visite il Garante, nei giorni scorsi, ha effettuato nuove visite in quattro dei sei Centri per il rimpatrio presenti sul territorio italiano. Il 6 giugno una delegazione guidata da Daniela de Robert, componente del Collegio del Garante, si è recata presso il Cpr di Ponte Galeria, a Roma, nel quale ha visitato l’appena riaperta sezione maschile. Il 18, il 19 e il 20 giugno, una delegazione guidata dal presidente Mauro Palma e dalla stessa de Robert, ha visitato i Cpr di Palazzo San Gervasio (in provincia di Potenza), di Bari e di Brindisi.
"Alcune criticità appaiono persino più gravi che in passato, in primo luogo perché la possibile prolungata permanenza rende ancora più inaccettabili talune condizioni, in secondo luogo perché nuove criticità si sono prodotte nel tempo: per esempio il guasto, riscontrato in un Centro, di tutti i telefoni pubblici che, unito alla mancata disponibilità di telefoni cellulari da destinare agli ospiti, rischia di comprimere il diritto alla difesa e quello all'unità familiare - si legge nella nota del Garante -. In alcuni Cpr non esistono ambienti forniti di tavoli e gli ospiti si trovano costretti a consumare i pasti sul proprio letto. Una privazione della libertà disposta perlopiù non in conseguenza di reati ma per irregolarità amministrative non può essere simile o peggiore a quella di chi sconta una pena. Tantomeno può prevedere minori garanzie di tutela dei propri diritti: per questo il diritto al reclamo e il potere di vigilanza dell’autorità giurisdizionale devono essere introdotti per le situazioni di privazione della libertà delle persone migranti, come il Garante nazionale ha da tempo raccomandato”. Pertanto il Garante chiede al governo di valutare “l’assoluta necessità di rendere la qualità della vita in questi Centri compatibile con il recente allungamento dei tempi di trattenimento".
Dopo aver visitato recentemente il Porto di Civitavecchia e le zone aeroportuali di Fiumicino e Malpensa, il Garante nazionale il 20 giugno ha altresì visitato il Porto di Bari – il primo Porto d’Italia per respingimenti – e le relative pertinenze, esaminando le procedure di espulsione e di respingimento, al fine di evitare che l’Italia debba rispondere in sede internazionale per eventuali violazioni.