Si sarebbe vestito da paladino dei diritti dei detenuti e avrebbe approfittato del suo ruolo di assistente di una parlamentare nazionale per entrare liberamente nelle carceri e veicolare messaggi tra esponenti mafiosi. Non solo, nelle sue disinvolte conversazioni, il superlatitante Matteo Messina Denaro sarebbe stato «il nostro primo ministro» oppure «San Matteo» e la strage di Capaci semplicemente «un incidente sul lavoro». È Antonello Nicosia, 48 anni, di Sciacca, membro del Comitato nazionale dei Radicali italiani, l’uomo-chiave dell’ultima operazione antimafia della Dda di Palermo, denominata "Passepartout", condotta dal Ros dei carabinieri e dal Gico della guardia di finanza e coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Francesca Dessì.
Nicosia, condannato in via definitiva a 10 anni e mezzo per traffico di droga e scarcerato da oltre dieci anni, sarebbe stato strettamente legato a un noto capomafia di Sciacca, Accursio Dimino, 61 anni, boss legato ai corleonesi e amico fedele della famiglia del latitante Messina Denaro, scarcerato tre anni fa dopo due condanne per associazione mafiosa interamente scontate, ma tornato al suo posto di vertice. Anche lui è finito in manette, assieme ad altre tre persone: Massimiliano Mandracchia, Paolo e Luigi Ciaccio.
Nicosia, secondo le ricostruzioni degli inquirenti e le intercettazioni, avrebbe mostrato un doppio volto: da un lato diceva di battersi per i diritti umani, conduceva la trasmissione "Mezz’ora d’aria", vantava un’esperienza da Teaching assistant presso l’University of California, Santa Barbara, era assistente parlamentare giuridico-psicopedagogico della deputata eletta tra i Leu e passata a Italia Viva, Giuseppina Occhionero, ignara ed estranea ai fatti; dall’altro avrebbe sfruttato la possibilità di accedere agevolmente negli istituti penitenziari assieme ai parlamentari, per portare messaggi e ordini fra i detenuti al 41 bis, e, secondo la procura, era a tutti gli effetti un «organico alla famiglia mafiosa saccense», vicinissimo a Dimino, con cui sarebbe stato in affari, tenendo legami anche con i clan americani.
Nicosia avrebbe cercato di favorire alcuni detenuti tra cui Filippo Guttadauro, cognato del latitante, attualmente al 41 bis nella casa circondariale di Tolmezzo. Da alcune intercettazioni emergerebbero anche progetti di omicidio ai danni di un imprenditore. Si sarebbe impegnato, scrivono i pm, «per la realizzazione di un non meglio delineato progetto che, afferente il settore carcerario, interessava direttamente il latitante Messina Denaro da cui l’indagato si aspettava di ricevere un ingente finanziamento, non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che asseriva di avere ricevuto dallo stesso ricercato».
La strada di mettersi al seguito di un parlamentare era l’unica percorribile per raggiungere lo scopo. Lo spiega Nicosia stesso a un’amica: «…quando tu vai col Dap il carcere ti aspetta, perché il Dap cosa fa? Ti autorizza e manda la lettera al carcere e dice sta venendo... si preparano, capito?». Col parlamentare invece: «Driin chi è? Chi siete? Sono l’onorevole Occhionero devo fare un’ispezione, tesserino della camera e si entra…». E ancora: «Dice: è un mio collaboratore, direttore, lei capisce che non possiamo lasciarlo fuori, ed è autorizzato da me, c’è una legge specifica in Italia...». Di questo escamotage Nicosia parla anche con Dimino.
Le intercettazioni sconcertanti non finiscono qui. In auto, transitando vicino all’aeroporto Falcone-Borsellino di Punta Raisi, Nicosia dice che a questo posto bisogna cambiare il nome. Il suo interlocutore, stupito, chiede il motivo: «Non va bene Falcone e Borsellino? Dici perché evocano la mafia...». Ma Nicosia risponde: «Perché dobbiamo spiegare chi sono scusami, perché dobbiamo sempre mescolare la stessa m...». Addirittura per lui, il giudice Falcone è stato vittima di un «incidente sul lavoro»: «Non era manco magistrato quando è stato ammazzato Falcone. Aveva già un incarico politico».
La parlamentare Occhionero prende subito le distanze da Nicosia: «Ringrazio la magistratura e le forze dell’ordine per lo straordinario lavoro di contrasto alla mafia. Quello che si legge nelle intercettazioni è vergognoso e gravissimo. La collaborazione con me durata solo quattro mesi. Non appena ho avuto modo di rendermi conto che i suoi racconti non corrispondevano alla realtà – spiega – ho interrotto la collaborazione».
La sorella del giudice Falcone, Maria, non usa mezzi termini: «Le parole offensive di questo sedicente difensore dei diritti dei deboli suscitano solo disgusto. Mi chiedo, alla luce di questa indagine se non sia necessario rivedere la legislazione in materia di colloqui e visite con i detenuti al regime carcerario duro». «Sono parole sconvolgenti, scioccanti, che indipendentemente dalle implicazioni di Nicosia devono farci riflettere» aggiunge il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Il segretario del Partito Radicale, Maurizio Turco, dichiara che Nicosia al partito «non è mai stato iscritto e come tutti i cittadini è innocente fino a sentenza definitiva».