I volontari dell'Unitalsi di Fiuggi preparano pacchi viveri per le famiglie in difficoltà - Collaboratori Avvenire
A due cose i frusinati non avrebbero mai creduto fino a qualche anno fa: la serie A nel calcio e una mensa Caritas per centinaia di concittadini ridotti allo stremo. Ma è della seconda che avrebbero ovviamente fatto a meno, visto che Frosinone da tempo aveva smesso gli abiti di paesone contadino per il vestito della festa di città moderna, tra grosse industrie e un solido terziario. Poi, però, la crisi economica degli anni scorsi ha portato a spegnere decine di ciminiere, mentre ora la "mazzata" della pandemia ha invece portato ad una sola apertura: quella per l’appunto di una mensa Caritas ancora più grande.
«Prima servivamo una media giornaliera di 50 pasti, più che altro a stranieri e persone di passaggio; adesso siamo arrivati a 270, con punte di 300. E gli italiani sono la maggioranza», racconta Marco Toti, direttore della Caritas diocesana. Proprio nei locali della mensa, affollati pure in agosto, si respira il disagio sociale che sta attanagliando anche il capoluogo ciociaro. Certo, c’è la bella immagine fornita da Paola Mignardi, volontaria responsabile della mensa: «È come una porta aperta sulla città, da cui entrano tante persone che vengono accolte. Una porta aperta che dà tanta speranza».
Ma ci sono anche quelli che a decine si muovono come fantasmi tra gli operatori della cooperativa diocesana Diaconia e i volontari di Sant’Egidio: prendono i piatti e via, per non farsi vedere. Sono i "nuovi poveri": impiegati, commercianti, artigiani che, oramai da mesi, non lavorano o non incassano niente.
Una situazione tratteggiata dal vescovo Ambrogio Spreafico all’inaugurazione della nuova mensa: «Tante famiglie si sono trovate all’improvviso senza quello che di solito avevano. Un tempo difficile, faticoso. Però tanta è stata la solidarietà, molto bella e che fa onore al territorio». Chi può, continua a donare.
Anche il prefetto Ignazio Portelli è stato visto diverse volte arrivare alla Caritas con il bagagliaio dell’auto pieno di alimenti. «Ma siamo molto preoccupati per l’autunno – riprende Toti – quando finirà la cassa integrazione per le industrie. Diversamente da altre zone, qui non possiamo contare neppure sugli introiti di un’estate turistica, con le poche risorse del settore pure loro in profonda crisi».
Ed eccoci allora nella vicina Fiuggi, già capitale termale italiana e oggi solo una lunga storia di alberghi e ristoranti chiusi, con la gente in fila per ritirare i pacchi-viveri della Caritas della diocesi di Anagni-Alatri, distribuiti anche dai volontari della Unitalsi: «Sì, abbiamo dovuto ripensare un po’ la "mission" Unitalsi – racconta Piergiorgio Ballini, presidente della sezione diocesana – e raccolto l’invito del nostro vescovo Lorenzo Loppa ad aiutare i poveri, chi ha bisogno. Portiamo alimenti e medicinali qui a Fiuggi e in tante realtà dove non ce lo saremmo mai aspettato, paesi dove fino a ieri si viveva bene. Adesso teniamo botta, grazie a tanti aiuti, ma abbiamo paura che da ottobre in poi succeda l’imponderabile, soprattutto per la crisi delle industrie».
A far tremare tutto il Frusinate è soprattutto il futuro della Fca: 4.000 dipendenti nello stabilimento di Cassino, decine di migliaia nell’indotto. E già si cominciano a muovere gli usurai, mentre in tanti iniziano a rifugiarsi nell’ illusione del gioco d’azzardo, come segnala don Teofilo Toma Akuino, direttore di quella Caritas della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, che pure ha messo in campo varie iniziative di sostegno su indicazione del vescovo Gerardo Antonazzo.
La situazione purtroppo non cambia nella limitrofa provincia di Latina, sempre in questo Lazio meridionale che rischia di scontare in negativo anche la vicinanza con Roma e la sua crisi socio-economica. Come accade a Formia, nell’arcidiocesi di Gaeta, dove nei giorni scorsi è stato aperto un grande emporio solidale: «È un’esperienza – racconta don Alfredo Micalusi, direttore della Caritas diocesana – nata durante il lockdown, quando ci siamo accorti di una fascia di persone, dai clandestini agli italiani che si vergognavano di chiedere, che avevano problemi a ricorrere agli aiuti "tradizionali", messi meritoriamente in campo dagli enti locali. Con tanti giovani della città allora abbiamo deciso di trasformare la chiesa di San Rocco in una sorta di negozio di generi alimentari, con tanto di scaffali, dove chiunque poteva venire a prendere senza alcuna formalità».
La spinta a continuare è arrivata sempre dai giovani, gli stessi che a don Alfredo hanno raccontato di quella donna arrivata tutta coperta, per non farsi vedere, chiedendo qualcosa da mangiare: «Io e mio marito possiamo anche morire di fame, ma i nostri due figli no». E che poi, appena ha potuto, è tornata per donare lei due buste della spesa. Ecco dunque l’emporio in centro città, dove sempre gratuitamente si può prendere, dopo una prima fase di ascolto Caritas.
«Sì, c’è stato un aumento delle richieste dopo la fine del lockdown e scopriamo situazioni anche nascoste. Ma il vero problema sarà in autunno, quando finiranno la cassa integrazione e la stagione balneare. Ci stiamo già organizzando e abbiamo così pensato anche ad un progetto attivo di orientamento al lavoro, per 17 giovani, con tirocini formativi in varie aziende, per 6 mesi e a spese della Caritas».
Questo progetto, già partito, così come l’emporio solidale, hanno trovato subito il sostegno entusiasta dell’arcivescovo Luigi Vari, così come per l’altra realtà di "Casa Bakhita", inaugurata poche settimane fa a Coreno Ausonio: «Vuole essere una casa-famiglia per donne in difficoltà, soprattutto straniere legate al mondo della prostituzione e quindi come risposta all’appello del Papa a dedicarsi al problema della tratta; ma arrivano richieste anche per italiane vittime di violenze. Abbiamo pensato per loro anche ad una equipe tutta al femminile, dalla responsabile della Casa che è la direttrice dell’ufficio diocesano Migrantes, Maria Giovanna Ruggieri, a psicologa, educatrice, assistente sociale, legale», conclude don Micalusi.