Il ministro dell'Economia Giorgetti - Ansa
L’abito verde è l’elemento di maggior speranza per Giorgia Meloni al termine di un Consiglio Europeo che la stessa premier italiana definisce «in chiaroscuro ». I risultati non sono quelli attesi, al di là della soddisfazione per il primo via all’Ucraina dentro l’Ue. Le posizioni «sono ancora distanti» su diversi dossier, incluso quel Patto di stabilità con le nuove regole sui conti degli Stati membri che non era all’ordine del giorno, ma che inevitabilmente è finito nei conciliaboli dei 27 leader europei a Bruxelles. E sul quale la presidente del Consiglio ha dato “copertura” al ministro dell’Economia, che dal palco di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, partito della premier, ha sparato bordate non di buon auspicio per l’Ecofin straordinario di mercoledì 20, ribadendo che al momento la posizione dell’Italia è per il no a un accordo: « Le negoziazioni sono andate avanti», ma le possibilità di un’intesa sarebbero «scarse, per il fatto che durerà 10-20 anni ci sono tanti aspetti da valutare, quindi si può aspettare ancora un po’».
Quasi un riferimento a un eventuale rinvio a gennaio di questo dossier tanto delicato. Tanto più per la bizzarra modalità scelta per il 20, quella di una videoconferenza: « In presenza è più opportuno», precisa il leghista Giancarlo Giorgetti. E pure su questo Meloni si schiera con lui: «Quello che ho imparato da queste trattative è che le interlocuzioni a margine sono molto più utili di quel che si dice nel confronto formale». Come, ad esempio, quello avuto mercoledì notte all’Hotel Amigo con Emmanuel Macron, perché anche sul Patto Ue «ci sono » diversi punti di «convergenza comune» con il presidente francese. In ogni caso, la strada per un’intesa mercoledì resta in salita. Giorgetti è perentorio: « L’Italia valuterà con tutti i mezzi che ha a disposizione», incluso quindi il diritto di veto, e «noi metteremo la firma se sarà nell’interesse del Paese». Sono pressoché le identiche parole che userà poco dopo Matteo Salvini, vicepremier e segretario della Lega, convinto che non bisogna firmare «se è una trappola».
Mentre da Bruxelles Meloni, che pure pochi giorni fa alla Camera aveva citato lei il termine “veto”, stavolta si mostra più cauta. « Non la metterei in questi termini, non è un buon modo per cercare una sintesi con gli altri, non c’è questa dimensione del ricatto, mi si passi il termine», osserva prima di ricordare però che, come detto in Parlamento, «l’Italia non potrà firmare delle regole difficili da rispettare ». E al riguardo nega pure qualsiasi legame con la ratifica della riforma del Mes, il Fondo salva-Stati: «Questo link lo vedo solo nel dibattito italiano», dice netta. È una posizione che parte da una premessa: « Noi non chiediamo una modifica del Patto per gettare i soldi dalla finestra – sottolinea la premier -, ma per fare degli investimenti senza essere per questo colpiti, perché sarebbe una strategia miope. Ma lo sarebbe non per l'Italia, ma per l'Europa che si è data determinate strategie», come quelle sulle transizioni ecologica e industriale.
Sulla riformulazione delle voci nel bilancio Ue, invece, la soluzione sarebbe «alla portata» al di là del veto posto da Orbán, afferma Meloni, ricordando che per la migrazione «non era previsto niente a un certo punto e ora ci sono quasi 10 miliardi di euro». Sui rapporti con il primo ministro ungherese, Meloni nemmeno si affanna ad accreditare più di tanto un suo ruolo (alla luce anche di un possibile futuro ingresso di Fidesz nell’Ecr, i conservatori europei), limitandosi a ripetere di «aver fatto quello che avevo detto: penso che si è molto più utili quando si ha la facoltà di parlare con tutti». Infine sul tema immigrazione, il capo del governo continua a rivendicare l’accordo con l’Albania per gestire il flusso di migranti, nonostante lo stop all’intesa arrivato dalla Corte costituzionale di Tirana: «Sono ottimista, ma non posso commentare quello che accade in una Nazione sovrana, rispetto le loro decisioni. Faremo del nostro meglio nelle prossime settimane per accelerare ancora di più. Per ora non abbiamo bisogno di un “piano B”, eventualmente lo cercheremo».