Ansa
Cina e Arabia Saudita. Nuovi accordi. Nuove frontiere per la nostra economia. Nuove opportunità per le imprese italiane. Giorgia Meloni ragiona con i collaboratori più ascoltati sulla doppia offensiva del governo: la missione del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani a Pechino e il primo Forum italo-saudita in scena a Milano sotto la regia del ministro Adolfo Urso. C'è voglia di archiviare la via della Seta, ma senza strappi. Senza mettere in discussioni il partenariato strategico. Anzi restando aperti al dialogo a tutto campo e puntando su nuovi strumenti che facciano decollare il nostro export in Cina. Meloni prova a mettere in fila le analisi di chi conosce l'economia politica. Si confronta con Guido Crosetto che da tempo spinge perchè l'Italia abbandoni un patto che il ministro della Difesa definì «improvvisato e scellerato». Ma guarda con attenzione anche i risultati della visita di Tajani che vuole ripartire da un partenariato «valido e meritevole di essere approfondito». E mette sul tavolo la disponibilità ad accogliere le imprese cinesi che vogliono investire in Italia, assicurando che da parte di Roma non c'è mai stata «discriminazione" nei confronti delle imprese cinesi. Insomma la sfida del governo Meloni è superare la via della Seta (l'accordo sottoscritto dal governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte) e parallelamente potenziare le relazioni con Pechino. Detta così sembra un'impresa impossibile. Il governo cinese prova a insistere. Parla della via della Seta come di una «pagina di cooperazione piuttosto brillante» e «ricca di risultati». Spiega che negli «ultimi cinque anni l'interscambio è salito da 50 a 80 miliardi di dollari e l'export italiano verso la Cina è aumentato del 30 per cento». Ma Tajani ha un altro piano. Tutto deciso? L'Italia sta ancora valutando la partecipazione alla Via della Seta. Sarà il Parlamento a dire l'ultima parola. Ma il vicepremier non ha nascosto che i risultati a livello economico «sono stati più lusinghieri per la Francia e la Germania che, rispetto all'Italia, non fanno parte dell'intesa». Non c'è un muro. Anzi c'è un dialogo che cresce. Insomma il confronto va avanti e sarà approfondito con le prossima visite a Pechino della premier Giorgia Meloni e nella prima parte del prossimo anno del presidente Sergio Mattarella, invitato per l'anniversario dei 700 anni dalla morte di Marco Polo.
Pechino non chiude la porta all'Italia. E, parallelamente, l'Arabia Saudita le apre. E guarda sempre di più alle filiere strategiche del Paese. Una «svolta storica», la definisce il ministro Adolfo Urso e che è il frutto di un Memorandum of Understanding tra il ministero delle Imprese e del Made in Italy e quello degli Investimenti del Regno dell'Arabia, siglato a Milano nell'ambito del primo summit italo-saudita. Un appuntamento, quest'ultimo, con più di 1200 imprese «segno dell'interesse» tanto da parte italiana, quanto saudita presente con più di 150 società. Ma soprattutto segnato da una ventina di accordi. Tra le realtà coinvolte Eni A2a,Technogym. Solo un primo passo e che verrà replicato anche a Riad. Anche perché l'«Arabia Saudita è più che aperta agli affari e non vede l'ora che tutte le grandi aziende italiane guardino al Paese saudita come alla propria seconda casa», assicura il ministro, Khalid Al-Falih presente anche nel fine settimana a Cernobbio al Forum Ambrosetti. Il dialogo è avviato. L'Arabia è in prima fila. Un Paese che non vuole essere solo esportatore di petrolio ma che punta ad allargare il proprio raggio d'azione e a cambiare la propria immagine, offuscata dalle accuse di non rispettare i diritti umani e che pone problemi di etica ancor più quando si stringono accordi commerciali. Bisogna «guardare alla realtà», è l'invito di Urso che aggiunge: «Dobbiamo partire dal sistema di valori europei su cui siamo assolutamente fermi e difendiamo in ogni contesto ma il mondo è, comunque, molto diverso da quello che noi pensavamo e da quello che abbiamo realizzato»