Sembrano due piccole storie.
La prima viene da Mantova. Un consigliere comunale di Fratelli d’Italia ha annunciato che venerdì prossimo al lunapark cittadino verranno distribuite gratuitamente le frittelle ai bambini. Postilla: solo ai bambini con cittadinanza italiana, perché, riporta la Gazzetta di Mantova, oggi secondo il consigliere si presterebbe troppa attenzione alle famiglie di extracomunitari, e troppo poca alle nostre. Prima gli italiani, dunque. Chissà come faranno, gli addetti al bancone. Chiederanno la carta d’identità ai ragazzini? Cosa diranno a quelli che abusivamente, innocentemente domandano una frittella? Non vorremmo trovarci dietro a quel banco. L’iniziativa sembra perfino troppo stupida per essere vera. Ma la prontezza con cui Giorgia Meloni, imbarazzata, ne ha preso le distanze («Il consigliere la annulli immediatamente e porga scuse pubbliche o saremo costretti a prendere provvedimenti nei suoi confronti», cosa che poi ha fatto), testimonia che è autentica.
La seconda 'piccola' storia viene da Melegnano, a sud di Milano. Sui muri di una casa l’altra notte sono stati vergati degli insulti: 'Italiani pagate per questi negri di m..', e poi una freccia, a indicare un’abitazione. La casa è quella di una famiglia italiana che ha adottato un ragazzo senegalese, Bakary. «Si tratta di una delle persone più miti e rispettose che abbiamo mai conosciuto», dice di lui la madre adottiva. Ma il giovane africano, che è qui da cinque anni e oggi ne ha ventidue, si è rivelato anche un atleta. Tra le fila dell’Atletica leggera Melegnano ha vinto nel 2017 i campionati nazionali del Centro sportivo italiano, e nel 2018 si è imposto sugli 800 metri. Un campione, e un ragazzo, testimoniano alla società sportiva, cui tutti vogliono bene.
Dal sindaco della cittadina, dall’Anpi e dal M5s locale immediate dichiarazioni di solidarietà. Un fatto che conforta. Perché anche questa non è una piccola storia di provincia. Scrivere su un muro 'Negri di m.', con una freccia, perché sia chiaro dove abita il 'nemico', è un gesto, è vero, che qualunque ignorante può fare. Quel che più conta è che succede il mattino dopo, quando i primi passanti leggono. Si fermano almeno un attimo, amareggiati, o alzano le spalle e corrono ai loro impegni? Oppure concordano tacitamente con il razzismo di cui un poveretto, col coraggio del buio, si fa voce?
Quel ragazzo, il giovane campione. Credeva forse di avercela fatta, e che nessuno più nel quartiere facesse caso alla sua pelle, da quando poi aveva dimostrato a tutti come sapeva correre, sulle sue agili gambe nere. Ma nemmeno questo basta, ad alcuni. A quelli che nella loro frustrazione e povertà d’animo hanno bisogno di un capro espiatorio, sui cui sfogarsi. Lo straniero, il nero. Offenderlo, discriminarlo deve dare loro un sapore di rivalsa. Il gusto acre, la fatua illusione di sentirsi superiori. Il ragazzo di Melegnano ha una famiglia che lo ama e la disciplina di un atleta, e pure ferito continuerà la sua corsa. Studierà, lavorerà. Magari avrà una moglie, e dei figli color caffelatte, assolutamente italiani. Chi è fuggito dal suo paese, chi ha visto la morte in faccia, spesso si porta dentro una potente voglia di vivere. Quella che, qui da noi, non tutti hanno più, pur non avendo mai affrontato la guerra né la fame. Immiseriti tuttavia abbastanza per andare, di notte, a vomitare rabbia su un muro. Per immaginare di regalare frittelle ai bambini, ma solo agli italiani. Gli altri, i piccoli cinesi, africani, via. Saranno però quei bambini, fra trent’anni, gli infermieri che cureranno negli ospizi tanti di noi, vecchi e soli. Bisognerebbe rallegrarsi, che ripopolino le nostre periferie svuotate. Bisognerebbe trattarli come figli, perché diventino generosi. Perché lo siano con noi, il giorno che ne avremo bisogno.