La nave Mare Jonio attraccata alla banchina del porto di Lampedusa
«Ho fatto solo il mio dovere e dico che rifarei tutto. Ho solo salvato 50 persone dal naufragio. Non ho violato la legge ma ho contribuito a salvare i migranti». Con queste parole, il capitano Pietro Marrone, indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra, ha ribadito la sua posizione e quella di Mediterranea. La procura di Agrigento ha convalidato il sequestro della nave, deciso in autonomia dalla Guardia di finanza, ma entro il fine settimana deciderà se adottare il provvedimento tenendo ferma la nave, che ieri è stata riconsegnata a Mediterranea per lo svolgimento delle attività ordinarie in porto e dove l’equipaggio è tornato a dormire.
Il comandante Marrone è indagato, precisano dalla procura, come «atto dovuto», cioè per consentirgli di partecipare con i difensori alla fase di indagini preliminari. Fin dalle prossime ore saranno ascoltati tutti i membri dell’equipaggio e i 49 migranti, per capire soprattutto da essi quale sia la condizione in Libia e se, come in altri casi, lo 'stato di necessità' prevalga sulle ipotesi di reato. Al momento non è stata contestata la decisione di non consegnare i migranti ai libici, ma quella di non aver risposto affermativamente alla richiesta di «spegnere i motori» comunicata dalla Guardia di finanza prima che la nave raggiungesse la costa lampedusana.
I magistrati, a quanto trapela, stanno cercando di capire se davvero le condizioni meteomarine impedissero a Mare Jonio di fermarsi, ma soprattutto se l’ordine di «alt» fermando i motori fosse conforme alla sicurezza del mare e non costituisse un pericolo proprio per Mare Jonio e le persone a bordo. Ieri è stato ascoltato anche Giorgio Ruta, il giornalista di Repubblica a bordo di Mare Jonio che insieme a un videomaker ha registrato minuto per minuto ciò che accadeva sul ponte di comando. «C’è una conversazione con i libici che - spiega Alessandra Sciurba, portavoce di Mediterranea – ci chiedono se è tutto a posto e se abbiamo bisogno di supporto. Non c’è stato nessun ordine di riportare i migranti in Libia».
Secondo l’armatore Beppe Caccia il sequestro sarebbe illegittimo. «Per impedire a una nave italiana, battente bandiera italiana, di entrare in acque territoriali del Paese di bandiera - insiste Caccia – serve, come dice il codice della navigazione, un decreto motivato per ragioni di sicurezza nazionale e firmato dal ministro competente che è il ministro delle Infrastrutture e noi non abbiamo visto nulla».
I magistrati agrigentini giunti a Lampedusa ascolteranno anche il secondo ufficiale e poi tutti i membri dell’equipaggio, dal capomissione Luca Casarini, all’armatore Beppe Caccia e agli altri componenti, tra cui Mario Pozzan, il ragazzo che alla guida dei gommoni veloci è stato tra i principali protagonisti del soccorso in mare aperto.
Sull’isola sono arrivati anche gli avvocati Fabio Lanfranca e Serena Romano, legali del comandante Marrone, che hanno partecipato al nuovo interrogatorio, di cinque ore, questa volta alla presenza dei magistrati arrivati da Agrigento, l’aggiunto Salvatore Vella e la pm Cecilia Baravelli, titolari dell’inchiesta aperta dalla Procura diretta da Luigi Patronaggio. Si tratta del pool che era stato impegnato nell’inchiesta costata a Salvini l’accusa di sequestro di persona nel caso Diciotti e che qualche settimana fa, sempre su ordine del Viminale, si sono visti sfilare da sotto il naso la nave Sea Watch su cui i magistrati volevano salire per ottenere notizie su una strage in mare avvenuta in Libia. Il sequestro della Mare Jonio «è un risultato storico perché vuol dire che non erano mie ipotesi che ci fossero delle illegalità e si infrangesse la legge», esulta il ministro dell’Interno Matteo Salvini.
In realtà il «sequestro probatorio», come ha precisato la procura di Agrigento, non equivale all’aver messo i sigilli a una prova di reato, ma «finalizzato a svolgere ulteriori accertamenti», solo al termine dei quali si deciderà se trattenere la nave o autorizzarla alla navigazione. Decisione che i magistrati prenderanno in una decina di giorni.