L'ambasciatore Luca Attanasio con la moglie e un gruppo di bambini africani - ANSA
«Mi manca tutto di Luca. Tra noi c’era un legame che niente e nessuno riuscirà mai a spezzare». Tre anni dopo l’omicidio dell’ambasciatore Luca Attanasio in Congo, la moglie Zakia Seddiki confida ad Avvenire ricordi, speranze e dubbi. Senza rinunciare a mettere alcuni punti fermi. Perché sull’agguato avvenuto in Nord Kivu il 22 febbraio 2021 tanto si è detto e scritto, ma le imprecisioni non sono mancate.
Signora Attanasio, cosa resta di suo marito?
Resta tutto di lui. Quando guardo le nostre tre bambine vedo Luca. Ora ho il dovere e la speranza di crescerle nella memoria del loro papà. Resta soprattutto la sua scelta di essere utile agli altri. Una scelta che stiamo portando avanti con l’opera di Mama Sofia (la ong da lei fondata, ndr). Mio marito credeva nell’importanza di far progredire i Paesi meno fortunati, creando reti tra persone per migliorare la situazione. Stiamo cercando di fare cose concrete, come dimostra il progetto che abbiamo avviato in Marocco per migliorare il sistema sanitario e accorciare le distanze nella cura. Credo che sia questo il modo migliore per onorare la sua memoria. È stato importante commemorare lui, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo la settimana scorsa a Roma, alla Farnesina, insieme a quella che per lui era una seconda famiglia: ho sentito l’affetto dei suoi colleghi, segno che anche in loro ha lasciato qualcosa di buono.
A tre anni di distanza restano ancora tanti dubbi su quello che è successo. Lei che idea si è fatta?
Non ero là e quindi non so come sono andate davvero le cose. Ma fin dall’inizio ho avuto fiducia nella giustizia italiana e continuo ad averla. Luca la penserebbe allo stesso modo. Anche se temo che nessuno riuscirà mai a sapere cosa sia accaduto quel giorno. Per il resto, visto che purtroppo non posso cambiare il passato, mi concentro sul futuro.
Suo marito è stato descritto come un uomo buono. Qualcuno però si è spinto forse troppo in là, facendolo passare quasi per ingenuo. Si è detto che visitava i villaggi senza scorta per non spaventare i bambini….
Niente di tutto questo è vero. Luca non faceva un solo metro senza scorta e senza auto blindata. Non usciva dalla residenza o dall’ambasciata se non c’erano i suoi carabinieri. E loro annullavano ogni missione se c’era anche solo il minimo dubbio. Si sistemavano i dettagli, si prendevano le giuste misure e si rimandava a qualche giorno dopo. Era sempre molto attento, glielo imponeva il ruolo. E poi un padre non può andare in giro a rischiare la vita.
Quel giorno però la sua scorta non c’era, a parte il solo Iacovacci. La sua incolumità era una responsabilità del Pam.
Non è stata garantita la sicurezza, le misure adottate erano quelle che sappiamo. Ma per sfortuna non si può cambiare il passato. Io l’avevo sentito mezz’ora prima dell’agguato, era serenissimo. Ma non era ancora salito sul convoglio, si trovava ancora nella sede locale del Pam e aveva ricevuto tutte le garanzie del caso. Ho saputo solo dopo che non erano state adottate tutte le misure necessarie.
Qual era lo scopo della missione?
Anche su questo punto si è parlato a sproposito. Luca non andava “a distribuire il pane”, come ha detto qualcuno. Il viaggio rientrava a pieno titolo nel suo lavoro. Si stava recando a visitare un progetto scolastico ed educativo del Pam, complesso e molto importante, finanziato anche con fondi italiani: un intervento che poi avrebbe dovuto essere replicato anche in un’altra località del Congo. Non era un viaggio di piacere, stava facendo il suo dovere.
Secondo lei si è trattato di un attacco casuale o mirato?
La zona del Nord Kivu è da tempo ad alto rischio, succedono spesso episodi del genere. Dire che volevano colpire proprio Luca non esiste. Se però qualcuno ha elementi che lo dimostrano, si faccia avanti e li porti ai carabinieri del Ros e ai magistrati. Lo dico da moglie che era lì, in Congo. Non abbiamo mai avuto minacce, Luca era del tutto tranquillo.
Quando suo marito arrivò a Kinshasa in che condizioni trovò l’ambasciata?
La sede era vacante da più di un anno, quindi lui si è dovuto preoccupare di riallacciare i rapporti con il governo e le istituzioni locali, che nel frattempo si erano inevitabilmente raffreddati. Era grato per la fiducia che Roma aveva riposto in lui, affidandogli un compito importante. Perciò interpretava il suo ruolo con serietà e passione: ci teneva moltissimo a far conoscere la sua bella Italia e soprattutto a mettere a disposizione degli altri popoli le eccellenze italiane.
Cosa racconta alle sue figlie, cosa dirà loro quando saranno grandi?
Luca era un padre presente, portava gioia ovunque. Nonostante non sia più fisicamente tra noi, io e le nostre figlie cerchiamo di scaldarci ricordando i momenti belli con lui attraverso le immagini e i video più intimi, che raccontano e ci permettono di rivivere continuamente l’intensità di tutto questo amore. Questi ricordi ci fanno percepire la sua presenza: è un dovere raccontare alle nostre bimbe la bellezza del papà e la sua semplicità. Luca era un sognatore, ma trasformava i sogni in realtà. Un esempio positivo da seguire.