Il controllo della filiera dell’azzardo «è da sempre considerato fonte primaria di guadagno verosimilmente superiore ai proventi derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti, dalle estorsioni e dall’usura e strumento che si presta a qualsiasi forma di riciclaggio». Ad affermarlo è il generale della Guardia di Finanza, Nicola Altiero, vicedirettore operativo della Direzione investigativa antimafia. Intervenendo al convegno promosso dai vescovi del Lazio, fornisce anche dei dati molto espliciti. «Un euro investito dalle mafie nel narcotraffico produce profitti per 67 euro, uno investito nell’azzardo 8-9, con molti meno rischi». Ecco perché, aggiunge, «intorno al settore si sono polarizzati gli interessi di tutte le organizzazioni criminali, dalla camorra alla ‘ndrangheta, dalla criminalità pugliese a cosa nostra, in alcuni casi addirittura consorziandosi tra loro, mettendo da parte i conflitti ». Due le direttrici degli affari mafiosi: «Da un lato la gestione storica del gioco illegale le cui prospettive si sono allargate con l’offerta online; dall’altro, la contaminazione del mercato legale, che garantisce rilevanti introiti a fronte di un rischio di sanzioni ritenuto economicamente sopportabile». Con «drammatici risvolti sociali: le mafie approfittano dei giocatori affetti da ludopatia, sanno chi sono, li seguono, li contattano, concedendo prestiti a tassi usurari. Si genera così un circolo vizioso, in cui alla dipendenza dal gioco si somma la dipendenza economica dai clan».
E l’affare dell’azzardo non conosce crisi, come ha sottolineato il sociologo Maurizio Fiasco. «L’azzardo legale torna a vedere il sole e quest’anno supererà del 30% i livelli pre pandemia, arrivando a 140 miliardi. Una cifra enorme. Basti pensare che i consumi privati degli italiani arrivano a 580 miliardi». E le dimensioni dell’affare sono confermate da altri numeri: «Diciotto milioni di italiani hanno “giocato” almeno una volta, 5,5 milioni sono “giocatori” abitudinari, che da soli consumano l’80% del totale. Tra loro un milione e mezzo sono giocatori patologici».
E non si tratta solo di danni economici. «L’azzardo fa consumare 100 milioni di giornate lavorative, equivalente al 60% del tempo dedicato dalle famiglie alle vacanze. E colpisce soprattutto gli strati sociali più bassi o con rapporti sociali problematici». Bisogna quindi andare oltre la “malattia” del gioco, come ha sottolineato monsignor Gianrico Ruzza, vescovo di Civitavecchia-Tarquinia e Porto-Santa Rufina. «Come droghe, alcol, pornografia e videogiochi, l’azzardo è il sintomo di un vuoto da colmare: di solitudini, emarginazioni e sofferenza che cercano consolazione. Ma è figlio di una cultura, un modo di intendere la vita e le relazioni. Il suo proliferare procede di pari passo con quelle che sono le fragilità del nostro tempo». Una fragilità economica. «L’azzardo è un’operazione finanziaria speculativa che rovina le persone, anche con campagne pubblicitarie – come non ricordare il tormentone “Ti piace vincere facile?” - che “spacciano” l’azzardo come alternativa per fuggire da una realtà dura e in cui la sola speranza di riscatto sembra essere la vincita, il “colpaccio” che cambia la vita». Una fragilità politica.
«Aumentare la “tassa sui poveri” - così è definito l’azzardo - per fare cassa, per trovare nuove poste in bilancio, per anticipare la pensione agli “amici degli amici”. Così lo Stato che deve essere il primo garante dei poveri si è trasformato in quello che ha fatto cassa con il gioco di poveri». Infine una fragilità delle nuove generazioni. «Occorre proporre una diversa visione della vita. Usciremo dal tunnel dell’azzardo proponendo ai ragazzi la riscoperta del gioco vero». Con un ultimo appello. «La Chiesa non può tacere, allontaniamoci da questo mondo, boicottiamolo».