Ciò che non si riesce a far entrare dalla porta lo si vuole, a tutti i costi, far passare dalla finestra. Si può spiegare soltanto così, l’insistenza con cui l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), emanazione del Dipartimento per le Pari opportunità e le associazioni degli omosessuali, stanno lavorando ai fianchi il mondo della scuola per “costringere” insegnanti, studenti e famiglie ad occuparsi dell’ideologia del gender e delle «discriminazioni nei confronti delle comunità Lgbt». Come ha ammesso lo stesso presidente di Arcigay Milano, Marco Mori, in una recente intervista al : «Abbiamo pochissime richieste» di intervento dalle scuole. E allora, se l’argomento non è ritenuto prioritario da chi la scuola la vive tutti i giorni, lo si vuole imporre per legge. Il primo passo è stato approvare, lo scorso 30 aprile, la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” che prevede specifiche attività nelle scuole, «a cominciare dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia». Per far in modo che le aule diventino «sicure e friendly» per le persone Lgbt, la Strategia prevede, tra l’altro, la «valorizzazione dell’expertise delle associazioni Lgbt in merito alla formazione e sensibilizzazione dei docenti, degli studenti e delle famiglie, per potersi avvalere delle loro conoscenze e per rafforzare il legame con le reti locali ». E il coinvolgimento diretto della comunità Lgbt riguarda tutte le misure d’intervento previste dalla Strategia. Che, invece, non dice nulla circa la collaborazione con realtà, molto più numerose e rappresentative della società italiana, come il Forum delle associazioni familiari. Alla pari delle altre rappresentanze dei genitori impegnati nella scuola, il Forum non è nemmeno stato interpellato dagli estensori della Strategia. «La scelta degli interlocutori è stata volutamente molto selettiva», conferma il presidente del Forum, Francesco Belletti. La manovra di accerchiamento è proseguita con la legge “L’istruzione riparte”, approvata a novembre. L’articolo 16, che riguarda le «attività di formazione e aggiornamento obbligatori del personale scolastico», per il cui espletamento il Miur ha previsto uno stanziamento di 10 milioni di euro, prevede, tra gli altri, anche interventi finalizzati «all’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere». Una formulazione «volutamente ambigua», per il presidente dei Giuristi per la vita, Gianfranco Amato, secondo cui il testo della legge evita, di proposito, di specificare che l’educazione all’affettività e le pari opportunità di genere «riguardano esclusivamente il rapporto tra uomo e donna». Per Amato, insomma, si tratta di un «subdolo tentativo di introdurre l’ideologia del gender in quella delicatissima funzione che è l’educazione scolastica».Come spesso accade quando si affrontano questioni divisive, anche in questo caso il “pilastro” su cui poggia la strategia di coloro che stanno lavorando per l’ingresso dell’ideologia del gender nella scuola italiana è l’affermazione, quasi apodittica, «l’Europa lo vuole». Qui il “paravento” in questione è la Raccomandazione del Comitato dei Ministri CM/REC 5 del marzo 2010, tra l’altro recepita solo da Italia e Francia. Sempre del 2010 è anche il documento dell’Oms Europa “Standard per l’educazione sessuale” – di cui ci siamo già occupati su queste pagine – che si basa su un «approccio olistico» alla sessualità. Per il pedagogista dell’Università Cattolica, Vittore Mariani, si tratta di «un modello antropologico estremamente riduttivo », che spinge l’individuo a «soddisfare i propri bisogni, pulsioni e istinti», unicamente «alla scoperta del piacere». Tutto il resto non conta.