La preghiera. Un profugo rinchiuso in un campo di detenzione libico a Tripoli - Reuters
Il giorno dopo l’approvazione del rifinanziamento italiano alla cosiddetta Guardia costiera libica, a Tripoli c’è chi tira un sospiro di sollievo. Non solo per la rinnovata legittimazione dei guardacoste e del loro controverso modello operativo, nuovamente contestato dall’Onu, ma perché la promessa di nuovi fondi italiani mette al sicuro altre partite. A cominciare dall’export di idrocarburi.
Il 9 luglio una delegazione dell’Eni aveva incontrato il premier Faiez al-Serraj, e il capo della Noc, la compagnia petrolifera di Stato. «In entrambi gli incontri – informa una fonte del governo libico –, sono stati discussi la ripresa della produzione e delle esportazioni di petrolio e una serie di nuovi progetti». Nel governo italiano c’è chi crede, a questo punto, di poter tentare di condizionare almeno la rinegoziazione del memorandum.
Lo lascia capire Giuseppe Brescia (M5s), presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati: «A Tripoli negli incontri con le autorità libiche il nostro governo ha parlato in maniera chiara: i centri gestiti dal governo libico, a volte dei veri e propri lager, vanno evacuati». Per farlo occorrono «corridoi umanitari europei», che Brescia assicura di voler realizzare insieme alla viceministra degli Esteri, Emanuela Del Re, con cui da tempo «sosteniamo e lavoriamo per questa soluzione, richiesta più volte da diverse organizzazioni della società civile».
Nonostante nessuna autorità internazionale riconosca la Libia come porto sicuro, Italia ed Europa continuano ad assicurare fondi ed equipaggiamento.
Proprio ieri l’Ue ha comunicato che, grazie al piano da 455 milioni, a breve verranno firmati contratti per l’acquisto e la spedizione a Tripoli di sei gommoni veloci da nove metri, mentre sarà indetta una gara d’appalto per altri 14 gommoni. Le prossime consegne, dopo i 30 veicoli donati in occasione della visita del ministro degli Interni Lamorgese, includeranno 40 suv, 13 autobus e 17 ambulanze. In altre parole si rende più efficiente l’apparato per la cattura dei migranti in mare e a terra, mentre in cambio da Tripoli non arriva alcun concreto impegno formale per migliorare le condizioni dei campi di prigionia.
Attualmente, 2.234 rifugiati e migranti sono detenuti nei centri di detenzione in Libia. Di questi, 1.211 sono persone più a rischio secondo Unhcr-Acnur. Eppure dall’inizio dell’anno, informa l’agenzia Onu per i rifugiati, sono state intercettate dalle motovedette libiche e riportate a terra 5.650 migranti. All’appello mancano 3.416 persone.
Sul tema è intervenuto questa mattina con una lettera a Repubblica il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Parole, le sue, che sembrano voler attribuire un ruolo alle Nazioni Unite nelle iniziative italiane su Tripoli. "Abbiamo ottenuto l’impegno del Governo libico a modificare il Memorandum sulla base di principi per noi fondamentali: il miglioramento delle condizioni dei migranti (con l’obiettivo del progressivo superamento del sistema dei centri); il rafforzamento dello stato di diritto e della tutela dei diritti umani dei migranti; il consolidamento del ruolo delle Organizzazioni Internazionali e della società civile”, ha scritto Di Maio. Stando alle affermazioni del ministro, "parallelamente alla revisione del Memorandum l’Italia sta lavorando per migliorare le condizioni di vita di rifugiati, sfollati interni e migranti presenti in Libia contribuendo in maniera decisiva alle attività delle principali Organizzazioni Onu presenti sul terreno, in particolare Oim e Unhcr”.
Tuttavia proprio dalle agenzie umanitarie viene ribadito, a scanso di equivoci, che in alcun modo l'Onu è stata coinvolta nella rinegoziazione del Memorandum, né è mai stato chiesto loro di collaborare nella redifinizione dell’intesa. “Non siamo parte in alcun modo - conferma una portavoce delle Nazioni Unite per la Libia - nella rinegoziazione o della discussione sul memorandum”.
A ribadire che l'Onu non può essere usata come un ombrello per le autonome scelte dei governi, erano arrivate le parole di Federico Soda, capo dell'Organizzaione internazionale dei migranti a Tripoli. Se è vero che il 2 luglio l’Italia, come riferito da Di Maio, ha “ottenuto l’impegno del governo libico a modificare il memorandum”, è altrettanto vero che nelle due settimane successive non c’è stato alcun gesto di buona volontà.
«Si dovrebbe parlare più della fine della detenzione arbitraria che c’è in Libia e della fine di queste condizioni inaccettabili», ha detto Soda intervenendo su Radio Vaticana. «Gli abusi sono ben documentati, ben raccontati e, nonostante la consapevolezza di tutti, continuano – denuncia il referente dell’agenzia Onu –. È questo che preoccupa, è questo che è grave, come è possibile che non si possa mettere fine a questa situazione?», e soprattutto «dal terrore che le persone si imbarchino e arrivino in Europa».
Sono le milizie libiche, dunque, a dettare le condizioni. Perciò sarà interessante notare se l’approvazione dei nuovi fondi italiani modificherà temporaneamente la frequenza delle partenze dalla Libia e dalla Tunisia, dove i boss libici stanno gradualmente spostando i loro interessi.