Sei morti ammazzati in 48 ore. Cadono come mosche, al ritmo di tre vite umane al giorno, gli 80 eritrei fuggiti dalla Libia nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso Israele e caduti da oltre un mese nelle mani di una banda di spietati trafficanti di esseri umani nel Sinai. L’allarme è stato rilanciato sul blog dell’agenzia di cooperazione Habeshia dal sacerdote eritreo cattolico della diocesi dell’Asmara Mosè Zerai, che vive a Roma e che dalla capitale, dallo scorso 24 novembre, è in contatto telefonico con questi sventurati in trappola. Ai quali i carcerieri lasciano usare il cellulare per implorare il pagamento del riscatto di 8mila dollari. Al confine tra Egitto e Israele, si sta consumando l’ennesima tragedia dell’immigrazione nell’indifferenza dei governi e nel silenzio dei media. Ieri altri tre eritrei sono stati massacrati a bastonate dai banditi, che tengono in ostaggio i profughi in una località indefinibile. Si tratta di persone che, una volta giunte sul suolo europeo, avrebbero diritto di chiedere asilo. Nel deserto la loro vita vale poche migliaia di dollari.L’odissea è iniziata più di un mese fa, quando i passatori avevano promesso di trasportare i fuggitivi oltre la frontiera con lo stato ebraico in cambio del pagamento di duemila dollari. Ma li hanno ingannati, fermando il camion dei profughi in mezzo al deserto e chiedendo 8mila dollari a testa per lasciare gli ostaggi in vita. Da lunedì è cominciata la mattanza. L’altro ieri tre persone erano state torturate e uccise a sangue freddo con la pistola perché non era stato pagato il riscatto, ieri un tentativo disperato di fuga di una dozzina di profughi è stato fermato e represso con violenza bestiale lasciando sul terreno altri tre cadaveri. Dalle informazioni in possesso del prete eritreo risulta che gli ostaggi sono quasi tutti sotto i trent’anni. Nel gruppo vi sono anche alcune donne. Sono tenuti prigionieri in condizioni inumane, in catene, maltrattati, con vitto scarso e senza potersi lavare. In tutto nell’area vi sarebbero 600 ostaggi provenienti da Corno d’Africa e Sudan.«Ho parlato con alcuni ostaggi eritrei ieri mattina – racconta don Zerai – mi hanno detto che i rapitori sono armati fino ai denti e determinati. Stanno perdendo le speranze di restare vivi, non c’è più tempo. Dove sono? Non riescono a identificare la località, sono stati incappucciati durante il trasbordo. Mi hanno riferito di vedere dalla prigionia una scuola e una moschea. Può agire solo il governo egiziano. Ma serve un intervento urgente dei governi europei sul Cairo per salvare i 74 superstiti o moriranno nell’indifferenza delle istituzioni nazionali e internazionali». Non si escludono connivenze dell’organizzazione di trafficanti con la polizia. Lunedì don Zerai è stato ascoltato a Bruxelles in un’audizione al Parlamento europeo senza, però, ottenere molto. Ma qualcosa si muove. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha segnalato il caso alle autorità egiziane. Ieri le senatrici del Partito Democratico Emanuela Baio e Mariapia Garavaglia, componenti della commissione diritti umani di palazzo Madama, hanno lanciato un appello: «Salviamo la vita degli eritrei che muoiono nel deserto del Sinai, una parte di loro risulta essere stata respinta dalla Libia» . «Risulta che, al confine tra Egitto ed Israele, – si legge in una nota delle due senatrici – nel deserto del Sinai, luogo simbolo per la cristianità, dove sono state consegnate a Mosè le tavole dei 10 Comandamenti, si consumino ogni giorno efferati delitti impuniti. E sembra che queste violenze lascino diversi Stati e il nostro governo completamente disinteressati». Le parlamentari hanno firmato l’interrogazione presentata la scorsa settimana dal Presidente della commissione Diritti umani del Senato Pietro Marcenaro e hanno chiesto al ministro degli Esteri Frattini di riferire in Senato. «Chiediamo di sapere cosa stia facendo il Governo italiano verso quello egiziano per liberare i profughi e cosa stia facendo verso la grande Repubblica Araba di Libia, popolare e socialista per difendere il diritto alla protezione umanitaria. Un paese con il quale abbiamo siglato poco tempo fa un accordo costato non poco alle casse dello Stato».