«Allora vi faccio questa proposta, visto che chiedete chiarezza sul rapporto tra Pd e governo: ne parliamo alla direzione del 20 febbraio». Matteo Renzi, dopo giorni di altalena, fissa in extremis, alla fine di una direzione di 4 ore, la data che sarà decisiva per le sorti dell’esecutivo-Letta. Sarà quel giorno, nel Parlamentino democrat, che si sceglierà tra Letta-bis e Renzi-uno. Una proposta che chiude una direzione strana, in cui l’ordine del giorno (la riforma del Senato e del titolo V) passa presto nel dimenticatoio. In cui i toni sono moderati, ma le parole taglienti. La minoranza democratica vuole a tutti i costi sapere cosa bisogna fare con il premier. E il segretario, che avrebbe volentieri inabissato il tema, chiude il cerchio: se ne parla quando l’Italicum sarà stato votato dalla Camera. Né più né meno di quello che si aspettava Enrico Letta, che nel suo intervento da semplice dirigente Pd - il quinto nella scaletta, tra Gentiloni e Fassina - scandisce la stessa tempistica: «La prossima settimana - quella in cui la legge elettorale sbarca a Montecitorio - sarà decisiva. Quello che succederà alla Camera determinerà il futuro delle riforme e del governo».Nella sua relazione introduttiva, Renzi tiene la linea di sempre: «Il rimpasto non lo chiedo, l’idea che uno vince il congresso e va a chiedere poltrone è roba da Prima Repubblica. Enrico vuole fare delle modifiche al programma e alla squadra? Le proponga nelle sedi istituzionali e politiche. Giochiamo a carte scoperte. Solo lui può dare un giudizio e fare scelte su questo esecutivo». Il segretario, insomma, sente di avere un altro ruolo: «Il nostro contributo al governo e al Paese è fare le riforme. È inaccettibile dire che il Pd pone problemi. Non li ha mai posti. Ha accettato provvedimenti discutibili, è stato leale anche quando il premier ci ha chiesto di difendere dei ministri». Parentesi chiusa. Si passa ad altro: al nuovo Senato, al titolo V, agli stipendi dei consiglieri regionali. E agli scenari politici che si aprono con l’Italicum: «La nostra vittoria è che il centro non esiste più. Non è vero che rischiamo di perdere per colpa della legge elettorale. Se Berlusconi vince con Casini e Bossi, significa che il problema siamo noi». Poi un accenno alle alleanze: «Immagino con noi una forza moderata e una a sinistra». Infine la stoccata ai deputati M5S: «Soffro per loro, sembrano prigionieri politici del blog di Grillo. Ma alcuni di loro sono pronti ad uscire»."Enrico" è lì, che ascolta. Quando arriva il suo turno è serafico come sempre. «Tutto voglio tranne che galleggiare. La crisi finanziaria è passata, ma la crisi sociale è pesantissima. Ce ne dobbiamo fare carico insieme. Dobbiamo essere una squadra, questo 2014 è una occasione irripetibile, il Pd può fare la storia». Poi un passaggio che sembra un’offerta di collaborazione al segretario: «Sulle riforme dobbiamo correre. Il Pd deve arrivare alle Europee con la legge elettorale e la prima lettura delle riforme».Entrambi troppo evasivi, dicono Cuperlo, Fassina, Orfini, Epifani nei loro interventi. E allora il segretario fa partire il conto alla rovescia: la direzione del 13 sarà sull’ingresso nel Pse, come previsto. Ma la settimana dopo, anziché accapigliarsi sul jobs act come previsto, ci si guarda negli occhi sull’esecutivo.
La direzione Pd riconvocata il 20.
Spauracchio per incassare l'Italicum di Marco Iasevoli
LE INTERVISTE Tabacci: «Popolari, alleanza col Pd» | Formigoni: «Il riferimento resta il Ppe»
Spauracchio per incassare l'Italicum di Marco Iasevoli
LE INTERVISTE Tabacci: «Popolari, alleanza col Pd» | Formigoni: «Il riferimento resta il Ppe»
© Riproduzione riservata