mercoledì 8 marzo 2023
Precariato, sottoccupazione e stipendi leggeri: tutti i numeri dicono che nel nostro Paese la condizione femminile è ancora troppo penalizzata. Il nodo della maternità
Leadership e incarichi, chi ce l'ha fatta. Ma la parità è ancora lontana
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L’8 marzo è da sempre tempo di bilanci. Si misurano i passi che le donne hanno fatto verso quella parità di genere che sembra dietro l’angolo, ma più si cammina più si ha l’impressione che il traguardo si allontani. In un anno difficile tra guerra in Ucraina, crisi energetica e inflazione record, qualcosa in Italia è cambiato, soprattutto se si guarda ai vertici delle istituzioni. Giorgia Meloni è alla guida del governo, prima premier donna, con un notevole ritardo rispetto agli altri Stati europei, e il principale partito di opposizione, il Pd, ha scelto Elly Schlein come segretaria. Di pochi giorni fa l’elezione di Margherita Cassano a presidente della Cassazione, arrivata tre anni dopo quella di Marta Cartabia alla Corte Costituzionale.

Passaggi importanti, dal forte valore simbolico, di un percorso che però non ha radici solide nella vita di tutti i giorni. Lo dicono i report internazionali ma soprattutto l’esperienza reale fatta di precariato, sottoccupazione e stipendi leggeri. Di conciliazione tra impegni in ufficio e genitorialità declinata soltanto al femminile. Nonostante il nostro Paese sia la settima economia mondiale, si trova al 63esimo posto nella classifica sul gender gap del World Economic Forum 2022. Un dato su tutti lascia senza parole: un terzo delle donne non possiede un conto corrente e quindi non ha un potere economico. Sono i dati sull’occupazione a testimoniare profonde diseguaglianze.

Se durante la pandemia le donne hanno pagato il prezzo più alto in termini di posti di lavoro andati in fumo (376mila), adesso il livello di occupazione è risalito con 9,87 milioni di donne occupate (dati provvisori Istat di gennaio 2023) e un tasso di occupazione del 51,9%, uno dei peggiori se confrontato con la media Ue del 62,7%. Pesano i divari territoriali e la polarizzazione in alcuni ambiti: le donne continuano ad essere soprattutto insegnanti, commesse, impiegate, medici e operatrici della sanità. Sono un quarto dei dirigenti e degli imprenditori e il 39,7% di chi svolge una professione tecnica.

Le posizioni apicali sono aumentate: le donne sono il 20% nei vertici aziendali (erano il 18% nel 2021) e il 30% nei ruoli di senior manager. Inutile dire che le Regioni con il maggior tasso di occupazione femminile si trovano al Nord e sono quelle che hanno servizi per l’infanzia più sviluppati. Il Trentino Alto-Adige ha un tasso del 66,3% mentre Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Friuli Venezia Giulia si aggirano attorno al 60%.

Percentuale dimezzata nelle regioni del Sud con Sicilia e Campania ferme al 30,3 e 30,4%. Se fare carriera è difficile, l’ingresso e la permanenza nel mondo del lavoro sono un vero percorso ad ostacoli. Il 14,5% delle donne ha un lavoro a tempo determinato contro l’11,7% dei colleghi, il 31% ha un orario part-time, percentuale che crolla al 9% per gli uomini. Una lavoratrice su quattro risulta sovra-istruita rispetto al proprio impiego e sebbene si laureino con voti maggiori e in percentuale più elevata le giovani italiane partono penalizzate rispetto ai compagni di università. Il sesto rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale conferma che la precarietà è donna: il 46,3% delle giovani è alle prese con una flessibilità imposta.

A quantificare il danno in termini economici di questa tendenza alla “sotto- occupazione” una ricerca della società di consulenza Odm consulting. Le donne guadagnano da 3mila a oltre 13mila euro in meno rispetto ai colleghi con un “taglio” del 10% sulle retribuzioni. E se si pensa che la riduzione colpisca solo per le posizioni più elevate, si sbaglia di grosso. Un capitolo a parte va dedicato alle mamme. Perché proprio la maternità rappresenta ancora il più grande fra gli ostacoli: tra i 25 e i 49 anni, secondo i dati Inail, è occupato solo il 53,9% delle donne con un figlio in età prescolare a fronte del 73,9% delle donne senza figli.

Dopo la maternità, conferma uno studio di Inapp-Plus, il 18% non lavora più e solo il 43,6% rimane nel mondo del lavoro in maniera stabile. Motivazione prevalente la difficoltà di conciliazione tra lavoro e cura, seguita dal mancato rinnovo del contratto e da valutazioni di opportunità e convenienza economica. In un mare magnum di dati sconfortanti emerge però un elemento incoraggiante: l’Italia è il primo Paese europeo per donne imprenditrici che rappresentano il 22% del totale e sono in forte aumento. Proprio sulla valorizzazione dell’imprenditorialità al femminile, oltre che sul potenziamento delle politiche attive e dei servizi per l’infanzia, punta il Pnrr per ridurre il gender gap e produrre un aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026. Perché il lavoro e l’indipendenza economica sono i pilastri su cui costruire una parità effettiva che non abbia bisogno di quote rosa e bilanci annuali.

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