Daniela Mapelli - .
È passato un anno e mezzo dalla sua elezione: prima rettrice nella storia dell’Università di Padova (che vuol dire 800 anni). E quella parola, rettrice, che nessuno aveva mai pronunciato o sentito pronunciare nei corridoi e nelle aule dell’ateneo «oggi è diventata normale per ogni studente e ogni matricola – spiega Daniela Mapelli –. All’Università di Padova c’è una rettrice e non è affatto strano. Ieri, a un convegno che abbiamo organizzato, c’erano in prima fila 4 ingegnere. E anche la parola ingegnera, usata per presentarle, non faceva alcun rumore. Questo dovrebbe succedere, sempre».
Eppure non succede ancora, perché?
Per tante ragioni, prima fra tutte che il cambiamento richiede tempo. Faccio l’esempio della mia università: ho e abbiamo lavorato tantissimo in questi anni sul tema dell’inclusione e delle pari opportunità a 360 gradi, che significa creare le condizioni di benessere per cui ciascuno abbia le stesse opportunità dell’altro. Ho un prorettorato che si occupa di questo e un delegato completamente dedicato alla questione di genere. C’è di più, il Pnrr prevede che il 40% delle borse di dottorato debba essere destinato a donne: una percentuale che da noi è già garantita, visto che per quanto riguarda le borse siamo quasi al 49%. Abbiamo il 53% delle studentesse, il 44% delle dottorande, il 36% del personale docente. Ma quando parliamo dell’ultima fascia dei professori ordinari, ecco che le donne sono appena il 25%: durante il loro percorso succede qualcosa che le penalizza.
Cosa?
Molte volte, ed ecco lo stereotipo, quando si tratta di decidere su figure apicali prevalgono i maschi. E poi nel corso della loro carriera diventano madri, si confrontano con gli impegni di cura sia nei confronti dei figli che, spesso, dei genitori. La forbice che osserviamo nei numeri racconta degli ostacoli che le donne incontrano lungo il loro percorso, e che non dovrebbero essere ostacoli.
Cosa fate per aiutarle?
L’università da due anni ha un asilo nido interno: non basta certo a coprire tutte le necessità, ma è un aiuto e soprattutto un segnale di attenzione. Abbiamo attivato decine di convenzioni con strutture del territorio per rispondere a questa esigenza, e anche per il doposcuola. Gestiamo anche un centro estivo, aperto alla città ma dedicato in primis a chi lavora nell’ateneo.
Quest’anno l’Italia ha assistito a una svolta, con la nomina della prima premier, pochi giorni fa della prima segretaria del Pd e poi di tante donne scelte per ruoli apicali nel mondo delle istituzioni, della finanza, delle aziende. Possiamo aspettarci un effetto “trascinamento”?
Assolutamente sì. L’esempio è fondamentale, anche da un punto di vista culturale vale più di mille parole e di mille auspici e dice innanzitutto alle donne che si può fare. Voglio parlare della mia esperienza personale: io sono stata la prima rettrice nella storia dell’Università di Padova, ma sono stata anche la prima donna che ha deciso di candidarsi per quel ruolo. Non c’era una legge scritta o qualcosa che vietasse alle donne di ambire a tanto, eppure nessuna l’aveva mai fatto. Ecco, di nuovo, lo stereotipo e il suo potere. Ecco il soffitto di cristallo, a cui per prime noi donne non abbiamo deciso per tanto tempo di avvicinarci. Avere una donna rettrice, oggi, significa invece che altre donne possono diventarlo, così come avere una donna presidente del Consiglio dei ministri o della Corte Costituzionale. Questo è importante.
Che differenza c’è tra la leadership femminile, che lei incarna, e quella maschile?
Ci penso spesso. Mi pare, a dire il vero, che il concetto di leadership sia profondamente cambiato nel corso degli ultimi e anni e credo che il ruolo delle donne abbia avuto un ruolo decisivo. Oggi più che leader connotati da una certa spietatezza, pronti a tirare dritti ad ogni costo pur di raggiungere gli obiettivi, si è affermato un modello più consapevole dell’importanza del lavoro di squadra e di come il raggiungimento degli stessi obiettivi dipenda dalla condivisione e dalla valorizzazione di ciascuno. Le donne in questo – se si vuole è una declinazione del “prendersi cura” che da sempre ci connota – sono capaci. E poi c’è il nostro talento organizzativo: abituate come siamo a lavorare e insieme mandare avanti una famiglia, gestendo i figli, sappiamo come ottimizzare il tempo. Quello che serve a un leader per far funzionare al meglio ciò di cui si occupa.