Una studentessa parla al microfono durante il corteo organizzato a Torino - Ansa
Tutto comincia il 6 di febbraio, quando dalle ragazze del movimento “Non una di meno” di Torino riunite per un corteo che dal campus Einaudi si snoda fino al rettorato di via Po (dove poi si svolge anche un'assemblea) viene lanciata un'accusa pesante: «L'università non è uno spazio sicuro per le donne, sia per le studentesse che per le docenti e le ricercatrici. Per questo abbiamo la necessità di creare uno spazio non istituzionale, perché non vengono ascoltate le segnalazioni di molestie che ci sono state». Le molestie in questione sarebbero state segnalate attraverso un questionario fatto circolare tra le iscritte all'ateneo di Torino subito dopo la morte di Giulia Cecchettin, ma sono due casi in particolare a scuotere appena qualche giorno dopo l'università e ad attirare l'attenzione dei media: un docente del dipartimento di Filosofia viene sospeso per un mese per una chat irriguardosa con foto e video sconvenienti inviati alle studentesse, mentre un altro di Medicina legale, finito agli arresti domiciliari con l'accusa di falso per delle autopsie inesistenti, risulta indagato anche per molestie a carico di cinque specializzande. L'intervento a carico dei prof, però, non placano le proteste. E i numeri confermano una tendenza preoccupante: nell'ateneo, dove è attivo da tempo uno sportello antiviolenza, nell'ultimo anno sono state 138 le donne che si sono fermate a parlare con le operatrici nel Campus, fra cui 43 hanno chiesto un primo ascolto, mentre quelle effettivamente seguite ogni settimana da un punto di vista legale o psicologico sono 28. Per le studentesse è una piccola emergenza.
Tutti con le studentesse: «Inaccettabile»
Le istituzioni si mettono subito dalla loro parte, approvando le ragioni della protesta. Il rettore dell'Università di Torino Stefano Geuna ammette che «la violenza sulle donne è una piaga di eccezionale gravità e dobbiamo continuare a combattere con fermezza e senza alcun cedimento su tutti i fronti». Come rettore garantisce «la massima attenzione ai casi che possono verificarsi, alle segnalazioni e la necessaria intransigenza» e sottolinea l'urgenza di «assumere misure sempre più severe per chi abbia esercitato molestie e soprusi». A fargli eco Giovanna Iannantuoni, presidente della Crui: «Quello che è stato denunciato è semplicemente inaccettabile per la sua gravità. Le università sono un luogo nel quale gli studenti devono sentirsi protetti. Il mio impegno è che episodi del genere non possano accadere mai più e utilizzerò tutti gli strumenti per far sì che questo si realizzi. Su fatti del genere deve esserci tolleranza zero». E poi la ministra Bernini, secondo cui «l'università è il luogo dove prepariamo il futuro e gli episodi che arrivano da Torino ci chiamano tutti a una riflessione comune, a una comune responsabilità». Anche molti docenti dell'università sostengono il movimento: «Faccio parte di un istituzione che se viene a conoscenza di un abuso ha il dovere di intervenire con trasparenza e costruendo tutti gli strumenti che impediscano che se questo sistema c'è si riproduca» è la posizione di Bruno Maida, docente di Storia contemporanea e presidente della commissione Albo di UniTo, attorno a cui si schierano molti colleghi. Mentre il movimento “Non una di meno” spiega che molte studentesse hanno paura a denunciare perché «temono ritorsioni, temono di non laurearsi».
La mobilitazione
L'onda di rabbia, presto ribattezzata “il #MeToo dell'università”, nel frattempo non si arresta. A Torino vanno in scena proteste e nuovi cortei, culminate nello sciopero studentesco organizzato davanti a Palazzo Nuovo oggi e alla minaccia di bloccare le lezioni: «Non ci vogliamo riferire a una logica di ricerca di mele marce o caccia alle streghe ma all'intero modello universitario, un sistema che promuove competizione, carrierismo, elitarizzazione all'interno di tutta l'università ed è questo che legittima violenze di genere e molestie come quelle di questi giorni» urlano gli esponenti di “Cambiare rotta”, che al rettore spiegano di non volere un capro espiatorio, «critichiamo l'intero modello universitario, da tempo vengono smantellate tutte quelle misure che vanno a difesa delle studentesse all'interno dell'università e non solo». Lui, il rettore, annuncia un meeting nazionale sul tema che si svolgerà proprio sotto la Mole, il 20 marzo: «È il momento di agire» aggiunge Genua. Ma assemblee e denunce cominciano a fiorire anche in altri atenei e il nuovo movimento studentesco in formazione promette di coinvolgere l'intero sistema universitario italiano.
Sullo sfondo, proprio il femminicidio di Giulia Cecchettin, che ha dato a molte studentesse la forza per denunciare. A Pisa, dopo il terribile delitto, le studentesse avevano simbolicamente bloccato l'ingresso dell'ateneo «per simboleggiare la realtà quotidiana di molestie e di violenza con cui dobbiamo scontrarci e che è presente sistematicamente anche all'interno delle università». A Padova, durante un incontro promosso dalla consulta degli studenti, sono state pronunciate frasi sessiste da parte di docenti e psicologi ed è scattata la protesta.