sabato 2 aprile 2016
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ROMA Il governo non ha nulla da rimproverarsi. Avanti tutta, come sempre, senza cambiare strategia. Matteo Renzi è ancora negli Stati Uniti mentre a Roma si consuma la giornata del dopo-dimissioni di Federica Guidi. Il premier si tiene in contatto costante con Roma, ma è costretto a gestire il caso dagli Usa. È certo di poter chiudere tutto in fretta, come in tre ore - a tempo di record rispetto al passato - giovedì ha incassato la lettera del ministro dello Sviluppo economico. E però le opposizioni hanno preso l’occasione al volo per trascinare nella tempesta ancora una volta la titolare delle Riforme Maria Elena Boschi. Ma qui Renzi non ci sta. Il capo del governo rassicura via cavo il suo 'braccio destro': sarà una nuova tempesta in un bicchiere d’acqua, è certo. Non ci sono motivi per mettere in discussione quanto fatto. Anzi: «Sarebbe assurdo che il ministro dei Rapporti con il Parlamento non firmasse un emendamento, favorevole a un progetto del governo che io avevo annunciato sei mesi prima». Un provvedimento «giusto», sottolinea. «Vorrei che fosse chiaro agli italiani, perché porta posti di lavoro. Una cosa sacrosanta da fare». La titolare delle Riforme, come Renzi, ancora una volta procede dritta, sicura di sé, e non si scompone. È in Emilia, per parlare della nuova Costituzione. «Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, cioè io, da regolamento deve autorizzare tutti gli emendamenti del governo. Tempa Rossa è un progetto strategico per il Paese che prevede molti occupati nel Mezzogiorno e lo rifirmerei domattina». Insomma, il premier-segretario non si lascia mettere in discussione. «Per ora prendo l’interim poi vedremo», taglia corto. «Abbiamo sempre detto che di fronte agli italiani noi siamo un governo diverso dal passato. Guidi non ha commesso nessun tipo di reato o illecito, ma ha fatto una telefonata che ha giudicato inopportuna ed effettivamente lo era. Chiedemmo le dimissioni del ministro Cancellieri per una telefonata e non arrivarono. Oggi c’è la dimostrazione che qualcosa in Italia è cambiato. Con noi le cose cambiano, chi sbaglia è giusto che vada a casa. La musica è cambiata, è un fatto di serietà riconoscerlo». Così la sostituzione del ministro diventa un fatto secondario per Renzi. È il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, ad assicurare che la questione si risolverà «in tempi rapidi. Aspettiamo il presidente del Consiglio di ritorno dagli Usa». Si tratta comunque di un ministro tecnico, ragionano a Largo del Nazareno. E dunque la soluzione dovrebbe essere slegata dagli equilibri di partito. Il nome più gettonato sarebbe quello di Teresa Bellanova, viceministro molto apprezzato dal presidente del Consiglio: ancora una volta una donna quindi, anche se questo non sarebbe un elemento imprescindibile. Dalla sua Bellanova avrebbe il passato da sindacalista, in discontinuità con la confindustriale Guidi. Un elemento che potrebbe essere gradito alla sinistra del Pd, sul piede di guerra in vista della direzione di lunedì, e pronta alla battaglia per il referendum sulle trivelle. Le diverse anime della minoranza provano a fissare una linea comune in vista dell’incontro, in una riunione fissata da Gianni Cuperlo poco prima del parlamentino del partito. Renzi non ha intenzione di cedere, ma neppure di tirare la corda. Il tempismo del caso lucano non è di buon auspicio. Il segretario sperava di potersi concentrare sul referendum costituzionale di ottobre, a cui ha legato le sorti sue e del suo governo. E invece la consultazione sulle trivelle – alla vigilia di una difficilissima partita di elezioni amministrative – non promette nulla di buono. Perciò lo scandalo del petrolio che si inserisce in questo quadro già complesso diventa un elemento da non sottovalutare. A Largo del Nazareno si riflette. L’idea è di consigliare una linea più morbida al leader dem da tenere all’interno del suo litigioso partito. Serve un Pd compatto. Il premier, però, sul referendum delle trivelle non vorrebbe tornare indietro. «La legge è stata votata da tutti», ricordano i suoi. «Il referendum è sbagliato». E però, se finora lo stesso segretario ha più volte ripetuto che non farà dramma se qualcuno andrà a votare a favore, cresce l’ipotesi di un compromesso sulla libertà di voto. Che tradotto potrebbe spingere la maggioranza del partito a votare no, secondo la convinzione renziana. Un no, comunque, 'pesante', perché potrebbe convincere molti elettori a recarsi ai seggi, contribuendo a raggiungere l’incerto quorum. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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