giovedì 1 settembre 2011
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«Credere». Credere che la morte «non è l’ultima parola». E cre­dere che Domenico Montalto, il giornalista di Avvenire scomparso prematuramente gio­vedì scorso, in seguito a un arresto cardiaco, ora stia godendo «della fe­licità infinita dell’al­dilà ». Di «quel posto che Gesù è andato a preparare per ciascuno di noi». Con queste pa­role don Enrico De Capi­tani, parroco della chiesa della Beata Vergine Incoronata di corso Garibaldi, a Milano, s’è rivolto ai paren­ti, ai colleghi e agli amici che ieri si sono riuniti, numerosissimi, per sa­lutare l’ultima volta Domenico. “Monty”, come lo chiamavamo in redazione. A concelebrare le ese­quie, con don Capitani, anche don Claudio Rossi, che con Montalto ha trascorso gli anni del liceo, al Berchet. Una celebrazione commovente, in cui sul­l’altare si sono alternati i familiari e gli amici di Do­menico, a cominciare dal piccolo Niccolò, 11 anni, che ha ricordato i bei momenti vissuti accanto allo zio: dalle mostre d’arte (di cui Domenico era un ap­passionato e un esperto) fino alle partite di Cham­pions e alla play-station. Ieri mattina, accanto alla famiglia di Domenico – alla moglie Valeria, alla fi­glia Nicol, ai genitori Alfonsina e Adolfo e alle sorelle Loredana e Francesca – s’era stretta anche quella di Avvenire, presso la camera ardente, allestita nella chiesa SS. Carlo e Vitale di via Oldofredi. «Grazie per averci donato Domenico», ha detto il direttore, Mar­co Tarquinio, ai suoi familiari ricordandolo seduto alla scrivania del desk centrale, nel suo ruolo di re­sponsabile del servizio notturno, pronto a gestire l’imprevisto «che nel nostro mestiere, come nella vita, è sempre in agguato». E l’imprevisto se l’è por­tato via. Ciao, Monty. IL RICORDO - Il mondo dell'arte piange il "poeta"che sognava la rinascita del sacro  di Alessandro Beltrami«Un uomo di bontà e generosità straordinarie.È stato molto vicino agli artisti lom­bardi, su cui ha detto cose impor­tanti. Amava la parola, usata con pre­cisione e gusto. Guardava alla bel­lezza terrena e a quel qualcosa che nelle opere va oltre. Era un persona di grande fede». Ciò che colpiva mol­ti era l’umanità di Montalto: «Era u­na persona molto pacata. Non l’ho mai visto arrabbiato. Indignato sì. Ed era dotato di una giovialità che tra­sformava in una grande disponibi­lità ». «Un amico. Di più, un fratello». Alain Toubas, direttore della Compagnia del Disegno, galleria milanese dove è in corso l’ultima mostra curata da Montalto, con una selezione delle ter­recotte di Previtali, ricorda «una co­noscenza lunga 20 anni. Domenico amava gli artisti. Ci sono tanti modi di scrivere d’arte. Lui non aveva vie di mezzo, il suo trasporto era totale». La voce dello storico gallerista Oreste Bellinzona, nel ricordarlo, non riesce a trattenere la commozione: «Do­menico era unico. La notizia della morte è stata uno choc. Di una ge­nerosità incredibile. Non aveva pau­ra a esporsi per difendere un giova­ne artista. Era molto sincero, virtù che qualcuno aveva male interpretato. Per fortuna Domenico era anche molto spiritoso. Una volta uno stam­patore d’arte mi disse di volermi fa­re conoscere un critico straordinario. Quando andai all’appuntamento e­ra lui. Fingemmo di non conoscerci e poi ci facemmo delle grandi risate. Non si meritava una fine così».
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