martedì 11 agosto 2020
L'11 ottobre 2013 morirono 268 profughi a poca distanza da una nave della Marina Italiana. Respinta la richiesta di archiviazione per la comandante. Chi le diede l'ordine di non intervenire? Perché?
Un aereo maltese aveva fotografato i primi soccorsi, giusti dopo che 268 persone erano annegate, tra cui 60 bambini

Un aereo maltese aveva fotografato i primi soccorsi, giusti dopo che 268 persone erano annegate, tra cui 60 bambini

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Erano trascorsi solo otto giorni dalla più grande strage di sempre, quella del 3 ottobre 2013: 368 migranti affogati nel barcone a un passo da Lampedusa. Con le lacrime agli occhi uomini in divisa promisero che non lo avrebbero mai più permesso. L’11 ottobre 268 profughi siriani, tra cui 60 bambini, morirono a poca distanza da una nave della Marina militare italiana.

Perciò il giudice delle indagini preliminari di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione. L’inchiesta dovrà andare avanti, per affrontare omertà, menzogne, perfino tentativi di depistaggio.

Una brutta storia che rischia di sporcare le pagine più belle della Marina. L’allora comandante della nave Libra, Catia Pellegrino, è accusata di comportamento negligente. Non da sola. Secondo il giudice le responsabilità arriverebbero fino ai massimi vertici di allora. E sono quelle che bisogna scoprire.

Il magistrato Paola Della Monica ha accolto le richieste dei legali dei superstiti, gli avvocati Alessandra Ballerini ed Emiliano Benzi, disponendo altri sei mesi di indagine alla Procura di Roma per effettuare una serie di accertamenti, tra cui l’acquisizione dei tabulati telefonici dell’indagata. Si tratta della seconda istanza d’archiviazione respinta. «Pur in presenza di molteplici dati di fatto indicativi dell’esistenza delle condizioni di un sinistro marittimo potenzialmente in fase di pericolo attuale, essendo stato segnalato il danneggiamento dell’imbarcazione (colpito da spari di mitra e imbarcante acqua), la presenza di due bambini malati, il sovraffollamento e le caratteristiche dell’imbarcazione (in legno) – chiarisce il giudice – la linea di condotta decisa dal Comando non fu improntata alle regole di diligenza e prudenza». Nelle 60 pagine Della Monica ricostruisce anche il solito scaricabarile tra Malta e Italia, secondo una modalità operativa che in questi anni ha portato ad altre stragi senza colpevoli e che questa inchiesta potrebbe portare alla sbarra. Molti gli interrogativi ancora senza risposta. Ad esempio, perché la nave Libra, si domanda il magistrato, ritenne di tenersi nascosta «alle autorità maltesi che avevano il coordinamento delle operazioni», tanto che dal Comando navale di Roma arrivò l’ordine di deviare la rotta in «una direzione di navigazione diversa da quella che stava seguendo e che avrebbe potuto avvicinarla all’imbarcazione dei migranti». Decisione «che non ha trovato alcuna plausibile giustificazione se non quella – scrive il giudice – di non essere coinvolti direttamente nelle operazioni».

Agli atti dell’inchiesta ci sono le numerose testimonianze dei superstiti, fra gli altri assistiti dagli avvocati Arturo Salerni e Stefano Greco, che hanno fornito informazioni e dettagli concordanti tra loro e con le acquisizioni autonome degli investigatori. Decisiva è ritenuta l’incessante inchiesta giornalistica di Fabrizio Gatti che su l’Espresso ha documentato in questi anni anomalie, menzogne, imprecisioni, e il costante tentativo di insabbiare. Materiale che il magistrato chiede alla procura di acquisire e approfondire. A cominciare dai curiosi malfunzionamenti di bordo. Con ricevitori radio che improvvisamente diventano muti e non rispondono ai ripetuti appelli di un aereo maltese che aveva avvistato la Libra a meno di 20 miglia dal barcone. Una distanza che il pattugliatore avrebbe potuto coprire in un’ora al massimo.

Alla richiesta di fornire il brogliaccio di bordo con le trascrizioni delle comunicazioni, dal comando hanno spiegato che le comunicazioni «non vengono annotate su nessun registro». Ma un altro ufficiale ha invece chiarito che «annotazione vi sarebbe, inizialmente sul brogliaccio di navigazione e poi successivamente sul giornale di chiesuola», che documenta l’attività quotidiana della nave. Quanto poi al funzionamento degli apparati radio di bordo, uno degli ufficiali «ha riferito che tutti gli apparati presenti su Nave Libra erano accesi ed efficienti».

Nel corso degli interrogatori uno dei marinai ha però chiesto di aggiungere un dettaglio. «Voglio precisare che il Comandante Pellegrino disattese in parte alle disposizioni ricevute da Cincnav (il Comando in capo della squadra navale, ndr), facendo rimanere Nave Libra nella sua posizione originaria, senza quindi allontanarsi dal posto. Questo – si legge – perché, così facendo, saremmo potuti intervenire in tempi più ristretti in caso di necessità».

Alle 17.07 il barcone di profughi siriani, danneggiato dalle raffiche di mitra sparate alla partenza dalla cosiddetta guardia costiera libica, si ribalta completamente. Alle 17.51, quasi sei ore dopo la prima richiesta di soccorso sopraggiunge la motovedetta P61 maltese. Dalla Libra decolla un elicottero che lancia giubbotti di salvataggio. Il pattugliatore italiano arriverà dopo le 18, quando ormai è quasi buio. E non si riesce a fare neanche la conta dei morti.

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