Non c’è ragione «per discriminare tra servizi aventi per legge la medesima dignità e le medesime caratteristiche». Ci sono voluti quasi tre anni, ma alla fine il Tar del Lazio ha dato ragione agli ex-docenti delle scuole paritarie, riconoscendo per intero il punteggio pre-ruolo svolto negli istituti non statali e accogliendo il ricorso contro l’ordinanza del Miur sulla mobilità. Con una sentenza pubblicata in questi giorni, il Tribunale amministrativo ha annullato il provvedimento del Ministero dell’Istruzione, nella parte in cui non riconosceva il servizio preruolo svolto nelle paritarie ai fini della mobilità, dopo il passaggio di questi docenti nelle scuole statali. «Finalmente si sta per chiudere un vergognoso capitolo di discriminazioni», esulta Filomena Pinca portavoce del Comitato nazionale per il riconoscimento del servizio prestato nella scuola paritaria.
«È davvero sconfortante che si debba ricorrere a un tribunale per vedere tutelati dei diritti sacrosanti», aggiunge la docente, che è stata tra i promotori del ricorso. E di «sentenza storica», parla anche l’avvocato Angela Maria Fasano, che ha patrocinato il ricorso e ora si prepara a riaprire «tutti i casi che, in questi anni, hanno avuto un esito negativo», anche di coloro che, nel frattempo, sono andati in pensione. La sentenza del Tar laziale, infatti, indica una «linea nazionale» a cui, da qui in avanti, tutti i tribunali del lavoro dovranno attenersi. Un altro aspetto rilevante riguarda la ricostruzione della carriera degli ex-docenti delle paritarie ai quali, una volta assunti di ruolo nello Stato, non venivano computati, ai fini degli scatti stipendiali, gli anni di servizio prestati.
Un danno che il Comitato, quando nel 2017 ha presentato una Petizione al Parlamento Europeo, ha quantificato in oltre 2,5 miliardi di euro, considerando soltanto gli insegnanti (circa il 30% del totale) che avevano maturato tra i 9 e i 15 anni di servizio nelle scuole paritarie. Complessivamente, sono oltre 300mila i docenti transitati nello Stato dal 2000, anno di approvazione della legge 62 sulla parità scolastica. E che, alla luce della sentenza del Tar Lazio, conferma l’avvocato Fasano, ora potranno rivalersi sul Miur per rientrare in possesso di quanto loro dovuto.
La normativa sulla parità viene a più riprese richiamata anche dal dispositivo della sentenza, che ricorda la «piena omogeneità tra il servizio d’insegnamento svolto nelle scuole statali e quello alle dipendenze degli istituti privati paritari » e il «servizio pubblico» svolto da questi ultimi. In sostanza, scrivono i giudici amministrativi, «è illegittima l’esclusione dell’attribuzione di punteggio, in sede di mobilità, per il servizio d’insegnamento svolto negli istituti paritari.
Diversamente opinando si perverrebbe ad una interpretazione della vigente normativa contraria ai principi di uguaglianza e d’imparzialità dell’amministrazione, non essendovi ragione per discriminare tra servizi aventi per legge la medesima dignità e le medesime caratteristiche ». Conclusioni accolte con soddisfazione dal segretario della Federazione scuole materne non statali (Fism), Luigi Morgano, che ricorda come l’associazione, in questi anni, sia «sempre stata dalla parte dei docenti». «È incredibile – aggiunge Morgano – che serva un Tribunale per applicare una legge dello Stato». Soddisfazione è espressa anche dalla vice-presidente del Forum nazionale delle famiglie, Maria Grazia Colombo, già presidente nazionale dell’Agesc, l’Associazione dei genitori della scuola cattolica. «Implicitamente – sottolinea – la sentenza del Tar Lazio riconosce il ruolo della scuola paritaria nell’unico sistema nazionale d’istruzione, definito dalla legge 62 e rimette nella giusta posizione i diritti di chi insegna in questi istituti. Finalmente, questa sentenza ci avvicina un po’ di più al resto d’Europa.
Mi viene in mente, per esempio, la Francia, dove lo Stato paga gli insegnanti che poi sono lasciati liberi di scegliere dove andare ad insegnare. È un importante punto a favore della funzione pubblica della scuola paritaria». Un altro aspetto non secondario della sentenza, secondo Colombo, è anche il suo «ribadire che un vero sistema nazionale di istruzione deve essere plurale, se vuole essere di qualità». In caso contrario, in presenza di un monopolio statale dell’istruzione, «a soffrirne sarebbe non soltanto la scuola paritaria, ma anche la statale. Insomma – conclude la vice-presidente del Forum – questa sentenza fa bene ai docenti, fa bene alla scuola paritaria, di cui viene riconosciuto il ruolo e servizio pubblico, ma fa bene anche all’intero sistema nazionale d’istruzione, di cui ribadisce il pluralismo».