Non poteva avere più di 14 anni, a giudicare dalle ossa del polso, esili. È morto insieme ad altri settecento, o forse novecento, nel grande naufragio del 18 aprile 2015 nel Mediterraneo. Cucita nella giacca, gli è stata trovata una pagella. 'Bulletin scolaire', dice la scritta sbiadita, e poi: 'mathematique', 'francais'..., e i voti, accanto. Veniva dal Mali il ragazzino che si portava addosso, come un tesoro, la sua pagella. Forse pensava che, in Europa, mostrandola avrebbe provato che aveva voglia di studiare, e che sarebbe stato ammesso in una scuola?
Lo sconosciuto adolescente l’Europa non l’ha mai raggiunta. Il barcone su cui viaggiava si ribaltò, e ancora chiusi nella stiva i migranti furono trovati stipati come topi, tanto accalcati da potere a stento respirare. Morte terribile, quella dello studente del Mali e dei suoi compagni. Per lo più giovani sui vent’anni, e anche giovanissimi, tredici, quattordici anni.
Un libro della anatomopatologa Cristina Cattaneo, 'Naufraghi senza volto', Cortina editore, racconta la dolorosa operazione della ricognizione dei corpi di quel disastroso naufragio, tesa a identificare le vittime, a dare almeno una certezza ai familiari. Ci sono particolari struggenti, che è giusto fare sapere. I portafogli colmi di foto dei genitori o dei figli, incollati dall’acqua di mare. I taccuini con scritti, fitti fitti, gli indirizzi di lontani parenti, e ignote strade di Amsterdam, Oslo, Berlino, in cui i migranti credevano di trovare un tetto. E numeri, numeri di telefono, per ricongiungersi ai fratelli già arrivati al di là del Mediterraneo. Ma anche, e in tante tasche, sacchetti colmi di terra. Terra d’Africa, terra di casa. Da palpare e accarezzare con le dita, nello straniamento del viaggio verso un altro mondo.
Sappiamo che sono decine di migliaia i morti in questi anni nel Mediterraneo, e che continuano a morire ancora – anche in silenzio, senza che se ne parli, se nessun soccorso arriva. Ma è importante recuperare la pagella di un ragazzino, e scriverne. Perché è un fatto, apparentemente piccolo, capace però di suscitare immedesimazione, da parte nostra, nella tragedia di questi uomini. Una pagella cucita addosso per non rischiare di perderla, una pagella con dei sei, e magari qualche sette. Da mostrare, sognava quel ragazzo, a un insegnante che la leggesse e poi lo accogliesse con uno sguardo buono. È difficile immaginare che anche i più arrabbiati avversari dell’immigrazione, quelli che si ripetono soddisfatti che 'la pacchia è finita', restino indifferenti alla pagella che un coetaneo dei loro figli si teneva stretta, spaventato eppure audace, in una stiva gremita. Bisognerebbe proprio non avere alcuna umanità, per non sentire, nel leggere, un’incrinatura di pena. Almeno un germe di commozione, quel ragazzino ignoto lo deve suscitare. A che serve la commozione?, dirà qualcuno. Concretamente a poco, forse. Ma almeno servirebbe a svelenire l’aria che respiriamo, l’avversione e il razzismo che germinano fra noi. È importante, l’adolescente orgoglioso del suo 'bulletin scolaire', perché lacera la corazza d’indifferenza e ostilità, e ricorda inesorabilmente che 'quei là' sono figli, fratelli – uomini come noi.