Il premier Gentioni si è recato ieri al Quirinale (Ansa)
Cinque anni vissuti pericolosamente. L’Italia esce da una legislatura iniziata in condizioni difficilissime, nel pieno della crisi economica e con un Parlamento senza una chiara maggioranza. La crisi dei migranti, l’emergenza lavoro, le vicissitudini del mondo bancario, le riforme istituzionali sono stati alcuni tra le maggiori sfide per i governi che si sono succeduti. Vere e proprie urgenze accanto a temi non certo nuovi ma sempre incompiuti, come il sostegno alla natalità e alla famiglia e la riforma della giustizia. Ecco il bilancio dei risultati raggiunti.
Economia. Risale il Pil dopo la recessione ma il nodo dei conti pubblici non è sciolto
Dopo il biennio nero 2012-2013 (4 punti in meno di Pil) l’Italia ha iniziato una faticosa risalita. Nel 2017 la crescita dovrebbe attestarsi intorno all’1,5%, uscendo per la prima volta da quella sindrome dello "zerovirgola" di cui sembrava prigioniera. Anche per l’anno prossimo le stime sono positive. Comprensibile quindi che gli ultimi due governi abbiano rivendicato il miglioramento dell’economia come un successo politico. La maggioranza degli osservatori concordano tuttavia sul fatto che sono state soprattutto le condizioni europee e internazionali, a cominciare dalle politiche espansive della Bce, ad avere trascinato il nostro Paese fuori dalla peggiore crisi del dopoguerra. Mentre l’eurozona continua a crescere a ritmi più sostenuti di quelli nazionali. In questo quadro è pur vero, però, che i provvedimenti messi in campo a supporto delle imprese (sgravi e incentivi, ecc) e dei consumi (la pioggia di bonus) hanno dato fiato all’economia dopo anni di rigore e sacrifici. In questo quadro anche i conti pubblici sono migliorati ma forse meno di quanto il contesto avrebbero permesso. Il deficit è in lenta riduzione mentre il debito pubblico non ha ancora imboccato una chiara traiettoria di discesa. Tanto che Bruxelles ha costretto Roma a rivedere i conti nella primavera scorsa e si appresta a rifarlo nella prossima. Nella contraddizione tra le compatibilità europee e i paletti della politica interna, il ministro dell’Economia Padoan ha traghettato il Paese lungo il suo "sentiero stretto", dando prova di prudenza e diplomazia. Senza riuscire però a evitare di lasciare in eredità alla prossima legislatura le clausole di salvaguardia sul deficit: sterilizzati nel 2018, gli aumenti Iva restano pronti a scattare dal 2019.
Nicola Pini
Istruzione. Con la Buona scuola assunti i precari. Misure a sostegno di paritarie e famiglie
Basterebbero due parole per condensare i cinque anni di legislatura sul fronte scolastico: «Buona scuola». È la riforma messa in campo dal governo Renzi (con il ministro Giannini), continuata e portata a compimento da quello Gentiloni. Un progetto, che a dire il vero, ha avuto al centro il problema dei docenti precari in attesa di un posto di ruolo anche da decenni. Ecco allora uno dei maggiori piani di assunzioni degli ultimi decenni nella scuola con 150mila posti sulla carta. Non tutti coperti e in diversi casi occupati da docenti costretti per un meccanismo complesso ad accettare la cattedra anche a migliaia di chilometri da casa. Un aspetto che ha di fatto attirato la maggior parte dell’attenzione lasciando in ombra altri aspetti che possono, invece, rappresentare una svolta importante per la scuola, come l’organico di istituto, cioè un gruppo di docenti scelti dal dirigente scolastico in liste provinciali per svolgere attività ulteriori rispetto a quelle previste dal percorso di studi. Un potenziamento di organico per dare risposte nel singolo territorio, nella singola scuola. Sul piano della scuola paritaria c’è da registrare alcuni interventi positivi, come la detrazione fiscale di parte delle spese sostenute dalle famiglie (anche se di scarso importo), mentre la possibilità di donazioni dirette agli istituti non ha sortito l’effetto sperato. Meccanismi nuovi anche nei concorsi per il reclutamento dei docenti e per il percorso di formazione. Ci vorrà tempo per vederne i risultati. Tra le riforme quella dell’esame di terza media che debutterà proprio nel 2018, mentre per quello di maturità occorrerà attendere giugno 2019 con il ritorno a due prove scritte e una orale (addio a quello che venne definito il "quizzone").
Enrico Lenzi
Famiglia. I bonus non hanno scalfito l'inverno demografico. Ora una campagna elettorale con tante promesse
Quella che si è conclusa ieri, dal punto di vista delle politiche familiari, è l’ennesima legislatura del "vorrei ma non posso". Certo, se si estende così tanto il concetto di politiche familiari da considerare tali anche gli interventi sulla fiscalità generale e contro la povertà, allora si potrebbe parlare di bilancio positivo. Ma se si resta concentrati sul tema centrale, sul drammatico inverno demografico che investe il Paese, va constatato che sono arrivati solo piccoli segnali. È arrivato il bonus bebè da 80 euro al mese, che l’ultima manovra ha fortemente depotenziato rispetto alle versioni precedenti rendendolo fruibile solo per i nati nel 2018 e solo per il primo anno di vita. C’è il bonus nido, mille euro a rate mensili non cumulabili con la precedente misura. C’è il bonus "mamma domani", un’"una tantum" dal valore di 800 euro. Tre bonus non fanno primavera, però, e infatti la tendenza negativa delle nascite si è aggravata. Sul finire della legislatura, è arrivato un barlume di intervento strutturale, ovvero l’aumento da 2.500 a 4mila euro della soglia di reddito sotto la quale si è considerati a carico della famiglia. La campagna elettorale è partita invece nel segno di promesse onerose: Renzi propone 80 euro al mese per ogni figlio sino ai 18 anni; Di Maio ancora di più, il sistema di sgravi "alla francese"; Berlusconi e Salvini rilanciano la riforma fiscale che va sotto il nome di "quoziente familiare". Il Forum delle associazioni familiari ha spinto e spingerà perché intorno a questo tema si raccolga una maggioranza ampia e trasversale. La proposta del Forum spinge sull’Irpef e si chiama "fattore famiglia": consiste in una no-tax area mobile legata sia alla soglia di povertà relativa sia al numero di figli a carico.
Marco Iasevoli
Credito. Crisi bancarie incubo dei risparmiatori. Renzi ha cambiato volto a popolari e Bcc
Cinque anni, un’eternità. La legislatura che si chiude è coincisa con uno dei periodi più difficili della storia per il credito. Un periodo marchiato da due "peccati originali": la blanda opposizione (al di là dei dubbi dei ministri, prima Saccomanni poi Padoan, e del governatore Visco non ci fu un voto contrario italiano) alla direttiva europea Brrd del 15 maggio 2014, quella che ha introdotto il bail-in senza una transizione che tutelasse gli obbligazionisti già in possesso di bond, e l’altrettanto blanda battaglia ingaggiata per creare una bad bank pubblica, una struttura che garantisse un adeguato smaltimento dei crediti deteriorati (solo nell’ultimo anno ridotti a 66 miliardi) senza zavorrare troppo i bilanci bancari. Questi due errori iniziali d’impostazione hanno condizionato l’intera partita successiva. Giocata tutta in difesa. Di fronte alle profonde crisi che hanno segnato sette istituti nostrani, dai quattro locali di fine 2015 al Monte Paschi (salvato col ritorno dello Stato azionista al 68%) passando per i due casi veneti che hanno prodotto i danni maggiori a 210mila risparmiatori, con ben 11 miliardi andati in fumo. Crisi a cui il governo ha reagito allestendo un fondo pubblico fino a 20 miliardi. In mezzo, Renzi ha introdotto due storiche riforme: quella via decreto, in parte contestata, delle banche popolari che ha portato alla trasformazione in Spa quelle sopra gli otto miliardi di attivi (poi incagliatasi fino alla Consulta) e l’altra, concordata, per le Bcc. Eventi importanti che hanno condotto, infine, alla commissione parlamentare d’inchiesta e a uno scontro politico senza precedenti sulla conferma (poi avvenuta) di Ignazio Visco a Bankitalia.
Eugenio Fatigante
Immigrazione. Lo stop alla legge sulla cittadinanza e le norme di civiltà per i minori soli
Lo stop «per mancanza di numeri» alla legge sulla cittadinanza, il percorso a ostacoli sull’accoglienza, il giro di vite sugli sbarchi e il segnale positivo sui minori non accompagnati: tra fallimenti, annunci e provvedimenti a lungo attesi, intorno al tema dell’immigrazione si è consumata una gigantesca campagna elettorale, che solo adesso vede il traguardo. Non ci si è fatti mancare nulla, in anni che hanno visto esplodere insieme i flussi migratori verso il nostro Paese e le tensioni (spesso alimentate ad arte) sui nostri territori. Risultati dal punto di vista politico? Pochi (ma buoni). Lo Ius culturae che puntava a garantire la cittadinanza italiana a chi è nato da genitori stranieri in questo Paese e ha completato sempre in Italia un ciclo di studi, ha superato gli scogli della Camera ma non quelli del Senato, lasciando nel limbo 800mila "nuovi italiani"; il Viminale ha messo a punto con il decreto Minniti nuove regole per identificare e seguire i migranti arrivati sulle nostre coste, proponendo poi un discusso (anche dal punto di vista giuridico) codice di condotta alle Ong attive in mare per i salvataggi. E mentre il modello Sprar per un’accoglienza più equilibrata ed efficace avanza lentamente tra i Comuni italiani, tra diffidenze e ostilità, neppure l’Europa è riuscita a mettere d’accordo le diverse forze politiche: tutti a parole hanno chiesto la riforma del regolamento di Dublino e il diritto d’asilo continentale, pochi hanno agito con spirito "terzo" a sostegno di questa linea. L’unica vera nota lieta è stato il sì al disegno di legge 2583, il cosiddetto ddl Zampa: finalmente, ci sono norme a tutela dei minori non accompagnati, con l’introduzione della figura del tutor per gli under 18 migranti. Un piccolo grande segno di civiltà, per italiani e stranieri.
Diego Motta
Giustizia. Orlando "svuota" le carceri sovraffollate e vara le riforme di processo civile e penale
Sono stati quattro anni intensi, quelli di Andrea Orlando alla guida del ministero della Giustizia, prima con il governo Renzi e poi con quello Gentiloni. L’avventura era cominciata subito con una grossa mina da disinnescare, quella del sovraffollamento delle carceri, che nel 2013 aveva spinto la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo a condannare l’Italia a una lunghissima serie di risarcimenti individuali di detenuti (la sentenza-pilota "Torreggiani più altri") se entro un anno non avesse ricondotto nelle condizioni minime di dignità la permanenza nelle celle di tutti gli istituti penitenziari. Centrato l’obiettivo, è cominciata la duplice sfida: riformare il processo civile e quello penale. Per quanto riguarda il settore civile un certo recupero di efficienza si è registrato, in termini di abbattimento dell’arretrato, ma i tempi delle cause restano eccessivi.
L’ultimo capitolo della riforma penale si è chiuso invece in extremis, nel Consiglio dei ministri pre-natalizio, con il varo dei decreti attuativi della riforma dell’ordinamento penitenziario. Quest’ultima mira alla "personalizzazione" della pena per un più efficace reinserimento sociale dei condannati. E si spera abbia anche effetti deflattivi, perché nel frattempo la situazione delle presenze nelle carceri è di nuovo prossima ai livelli di guardia: 57mila, cioè 3mila in più dello scorso anno, con un tasso di sovraffollamento del 110%. La riforma penale contiene poi la riforma della prescrizione dei reati (è sospesa per un massimo di 18 mesi sia dopo la condanna in primo grado sia dopo la condanna in appello) e quella delle intercettazioni, che cercherà di arginare la diffusione di registrazioni non rilevanti ai fini del processo. Il ministro si è detto soddisfatto anche della riforma della magistratura onoraria, una soddisfazione però tutt’altro che condivisa dalla categoria interessata.
Danilo Paolini
Riforme. Impegni, patti, forzature e sogni infranti: il tormentato percorso bocciato dal Paese al referendum
Nel vibrante discorso alle Camere del 22 aprile 2013, con cui Giorgio Napolitano accettò l’inusuale secondo mandato al Colle, sembrò che la diciassettesima legislatura non avesse altro compito se non partorire una significativa riforma costituzionale ed elettorale. Nulla lasciava presagire, quel giorno, che si sarebbe tornati a un sistema di voto fortemente proporzionale. Eppure è accaduto. La storia narrerà di milleuno tentativi culminati in un referendum sventurato per il leader politico che più l’ha voluto, Matteo Renzi. Prima la commissione dei 10 saggi convocata a inizio aprile 2013 dal Quirinale, poi i 35 esperti radunati dal governo Letta per accompagnare il lavoro del ministro Quagliariello. Quindi il tentativo, ancora sotto l’esecutivo Letta, di "superare" l’articolo 138 della Carta e portare avanti la riforma del bicameralismo perfetto senza passare per le forche caudine della doppia lettura. Tentativi che Matteo Renzi, con l’ascesa a Palazzo Chigi, superò a gran velocità attraverso l’accordo del Nazareno con Silvio Berlusconi. Le cose sembravano procedere per il verso giusto, poi sulla nomina di Mattarella a capo dello Stato si consumò lo strappo tra il leader dem e il Cav. Da lì in poi, un calvario. Renzi decise di portare avanti a strappi la riforma costituzionale e la legge elettorale collegata, l’ipermaggioritario Italicum. Al referendum del 4 dicembre 2016, l’Italia non si fidò di chi gli proponeva un bicameralismo differenziato dove la Camera dava la fiducia e il Senato diventava una specie di "consulente" su temi specifici, né si mostrò appassionata all’idea di conoscere chi ha vinto le elezioni la sera stessa del voto. Oggi alle riforme istituzionali, nei programmi, nemmeno si fa accenno.
Marco Iasevoli
Lavoro. Più occupati ma anche più precari. La ripresa lascia al margine i giovani
Il lavoro è stato uno dei temi qualificanti dell’azione di governo degli ultimi anni. Lo scontro sul Jobs act e le opposte letture dei dati relativi all’occupazione hanno caratterizzato la legislatura e probabilmente costituito una delle ragioni principali dello strappo politico tra il Pd a trazione renziana e la minoranza poi uscita dal partito. I dati statistici indicano un rimbalzo degli occupati a partire dal 2014 che si è poi accentuato negli anni successivi. Oggi l’Italia ha quasi recuperato il gap rispetto al picco pre-crisi mentre la disoccupazione è in lenta discesa. Ma i problemi non sono affatto superati, complice anche la nuova rivoluzione tecnologica che minaccia i vecchi assetti produttivi. Giusto ieri l’Istat ricordava come nel Paese ci siano ben 6,4 milioni di persone, tra disoccupati "doc" e scoraggiati, in attesa di un posto di lavoro. Un numero in calo (-3,5%) rispetto al 2015 ma ancora enorme.
Rispetto ai minimi le persone censite oggi come occupate sono quasi un milione in più, metà delle quali impiegate a tempo indeterminato. Dopo il balzo del 2015 sulla spinta della maxi-decontribuzione introdotta dal governo Renzi (un’operazione costata una quindicina di miliardi) i nuovi contratti stabili sono però precipitati e rappresentano oggi poco più del 20% delle attivazioni a fronte di un boom del precariato. Non a caso la manovra appena varata prevede una ripresa degli sgravi sul lavoro "fisso", stavolta di carattere strutturale e mirati sui giovani. Mentre non è passata la proposta di rendere meno agevole per le imprese la reiterazione dei contratti a termine. Una delle fragilità del trend occupazionale riguarda proprio il mondo giovanile che ha intercettato molto meno degli ultracinquantenni l’onda della ripresa. E i problemi non mancano anche per chi un lavoro ce l’ha, perché le retribuzioni medie sono ferme.
Nicola Pini
Diritti civili. Unioni e biotestamento, leggi discusse e discutibili che hanno diviso e avrebbero bisogno di correzioni
Se la necessità di una legge si misura dai frutti, sarebbe facile concludere che quella sulle unioni civili, presunto 'fiore all’occhiello' della legislatura appena tramontata per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti civili, è stato un mezzo fallimento. Durante l’estenuante dibattito che per a lungo ha tenuto bloccato il Parlamento, i sostenitori della legge – e in primis la relatrice, Monica
Cirinnà (Pd) –, per accelerare l’iter della norma, hanno battuto sull’argomento dell’urgenza improcrastinabile e dell’attesa di migliaia di persone. Non è un mistero che si attendessero almeno 50mila registrazioni nel primo anno. Ne sono arrivate meno di 3mila.
Segno che neppure nel mondo omosessuale, tranne forse una piccola frazione di attivisti, la richiesta era così sentita. O che forse la legge che ha trasformato una serie di rivendicazioni condivisibili – casa, pensioni, eredità, diritto di assistenza – in un similmatrimonio è apparsa sbilanciata e 'sovradimensionata' anche a chi dovrebbe trarne beneficio. Scelta ideologica che connota anchel’altra legge approvata sul fronte dei diritti 'civili', quella sul fine vita. Abbiamo già messo in luce che la fretta tutta elettorale che ha accompagnato la discussione e l’approvazione, hanno impedito un dibattito più approfondito su questioni centrali – su tutte l’alleanza terapeutica medicopaziente, la possibilità di sospendere nutrizione e idratazione, l’obiezione di coscienza – e peggiorato forse in modo irreversibile l’impianto di una norma importante. Ora, come per le unioni civili, non si tratta di cancellare, ma di limare e correggere. Obiettivi urgenti per il nuovo Parlamento.
Luciano Moia
Salute. Patto sanità, vaccini obbligatori e nuovi Lea. Tante riforme ma fondi ancora risicati
Comunque la si voglia leggere, questa legislatura ha cambiato il volto della sanità. E segnato un record, quello del ministro della Salute più longevo della storia della Repubblica. I cinque anni appena trascorsi hanno visto infatti il nascere il nuovo Patto per la salute, i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) che inseriscono dopo 15 anni 110 nuove esenzioni per malattie rare a cui viene dedicato un miliardo di euro l’anno, i Piani per la cronicità e gli standard ospedalieri, l’obbligatorietà dei vaccini per l’iscrizione a scuola, la legge sulle professioni sanitarie, quest’ultima da oltre 10 anni in stand-by tra un governo e l’altro. E, ancora, la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari, il nuovo Fondo per l’epatite C da 500 milioni, la legge sugli errori medici, la prima norma organica sull’autismo (senza fondi dedicati però) e quella sul 'Dopo di noi' (con 90 milioni per il 2016 e appena 38 per il
2017). Insomma il bottino di riforme che porta in dote Beatrice Lorenzin è ricco, anche se alla fine del percorso molto è ancora da fare. Uno dei traguardi in sanità resta il Patto della salute che fissa il perimetro del concorso finanziario dello Stato al sistema salute, anche se il livello del fondo per la Salute è stato rideterminato al ribasso – non senza polemiche politiche e frizioni all’interno del governo – dalle finanziarie 2016 e 2017. Così il Ssn può contare su 113 miliardi per il 2017 e a 114 per il 2018. Per il 2019 sarà 115 miliardi. Ma restano i vaccini ad aver segnato il quinquennio, con l’inserimento di 12 vaccini obbligatori per i bambini da 0 a 16 anni. Pena la non iscrizione a scuola. In questo campo, il ministro ha dovuto fronteggiare un’ondata di polemiche dei gruppi no-vax.
Alessia Guerrieri
Povertà. Il Reddito d'inclusione è finalmente attivo. Ma raggiungerà per ora solo un terzo dei bisognosi
L’Italia chiude la legislatura con un nuovo strumento di contrasto alla povertà, il reddito di inclusione (Rei), per il quale proprio in queste settimane l’Inps sta raccogliendo le domande. Il Rei nasce a coronamento della lunga battaglia dell’Alleanza contro la povertà per dotare anche il nostro Paese, ultimo nell’eurozona, di uno strumento universale per combattere l’emarginazione sociale. In Italia i poveri assoluti, secondo l’Istat, sono triplicati con la crisi economica, raggiungendo quota 4,7 milioni di unità, il 7,9% della popolazione. A fronte di questa escalation, che colpisce soprattutto famiglie numerose e minori, gli ultimi tre governi che si sono succeduti hanno avviato nel 2013 la sperimentazione del Sia (sostegno inclusione attiva) nelle 12 maggiori città italiane, poi esteso nel 2016 a tutto il territorio nazionale. Nel 2017 poi è arrivata la legge istituiva del Rei, volto non solo a dare un sostegno economico ma anche ad accompagnare le famiglie in difficoltà lungo un progetto personalizzato di reinserimento lavorativo e sociale predisposto d’intesa tra i servizi sociali, sanitari, formativi nei Comuni. Il limite principale dello strumento sta nell’insufficienza degli stanziamenti mentre a valle andrà verificata l’efficacia delle politiche di reinserimento. La legge ha stanziato fondi per 1,7 miliardi annui, l’ultima manovra li ha incrementati di 600 milioni dalla seconda metà del 2018. Permetteranno di erogare fino a 530 euro mensili alle famiglie più numerose, che scendono a circa 200 per le persone sole. La platea di beneficiari è calcolata in circa 600mila nuclei, solo un terzo di quelli poveri. La strada per avere un strumento universale è stata intrapresa, ma il
cammino è ancora lungo.
Nicola Pini
Politica estera. Da Obama a Trump, rigore Ue attenuato e il fenomeno migratorio da gestire
Tre premier in poco meno di cinque anni. Tutti, per ragioni diverse, autorevoli o con buone relazioni in ambito internazionale. Letta per i suoi trascorsi europei, Renzi per la forza iniziale del sostegno popolare e della spinta riformatrice, Gentiloni per la precedente esperienza alla Farnesina. La nostra politica estera del quinquennio si può fotografare con passaggi che segnalano transizioni importanti. Da Obama a Trump. Da Dijsselbloem a Centeno. Da tragici naufragi e sbarchi di massa alle missioni sul suolo africano. Renzi aveva stretto un’ottima intesa con il presidente democratico sul tradizionale asse atlantico Roma-Washington, orientato sulla nuova strategia Usa meno interventista. Lo choc dell’elezione del tycoon repubblicano ha complicato il quadro e chiede più iniziativa all’Europa, con margini anche per la 'fantasia' italiana, alle prese con la spina dei rapporti ambivalenti verso la Russia. La nostra duttilità si è esercitata soprattutto sul fronte dell’Unione, per uscire dalla morsa dell’austerity sui conti e del pregiudizio nordico nei confronti dei Paesi del Sud. Il cambio alla guida dell’Eurogruppo, dal rigorista olandese all’uomo delle politiche espansive portoghese segna infine un punto in nostro favore nella lunga battaglia condotta da Palazzo Chigi. Infine, il fenomeno migranti, rispetto al quale, parole di Juncker, il nostro Paese ha salvato l’onore dell’Europa. L’iniziativa 'Mare Nostrum' di Letta ha permesso di stendere una rete di soccorso. Poi l’accoglienza diffusa (e in parallelo l’incapacità di fare rispettare le quote Ue). Quindi, il tentativo con Gentiloni-Minniti di intervenire alla fonte dei flussi (con rischi innegabili sul piano umanitario) e di avviare corridoi per viaggi sicuri. Ma molte partite a Bruxelles restano aperte e delicate. Tentazioni anti-europeiste sarebbero la peggiore scorciatoia per un ritorno ai sorrisini di compatimento degli altri leader.
Andrea Lavazza
Lotta alle mafie. Bene su caporalato e beni confiscati. Ancora poco contro gli affari dell'azzardo
Una legislatura che porta a casa molte e importanti leggi per la lotta alle mafie, alla corruzione e alla grande criminalità economica. Ma anche con alcune gravi mancanze. Norme, quelle approvate, frutto di iniziative dei governi Renzi e Gentiloni, ma anche del Parlamento, in particolare della Commissione Antimafia. È il caso ad esempio dell’ultima approvata, la riforma del sistema di tutela dei testimoni di giustizia. Mentre il Codice antimafia, che ha avuto un lungo iter, è il risultato della collaborazione tra Esecutivo e Antimafia, in particolare per migliorare la gestione dei beni confiscati. Molte le norme attese da anni come la riforma del 416 ter, voto di scambio politico mafioso, e l’istituzione del 21 di Marzo, Giornata nazionale dedicata alle vittime innocenti delle mafie. E ancora la norma sugli 'ecoreati' e quella che introduce strumenti più efficace per combattere il caporalato. Ci sono poi la legge Anticorruzione (con la creazione dell’Anac guidata da Raffaele Cantone) e altre che rappresentano un’inversione di tendenza come la reintroduzione del falso in bilancio, l’autoriciclaggio, l’aumento dei tempi di prescrizione. Un vero 'pacchetto antimafia', con una novità. «Quasi sempre lo Stato ha fatto cose buone, soltanto reagendo al sangue versato dalla violenza criminale. Le riforme più importanti cioè sono state il frutto amaro degli eccidi di mafia. Noi abbiamo approvato leggi buone senza la dittatura del sangue», ricorda Davide Mattiello, deputato Pd dopo anni di volontariato in Libera, relatore di alcune di queste norme. All’appello però mancano alcune importanti leggi rimaste bloccate. In particolare la riforma dello scioglimento dei Comuni per mafia, quella per le vittime dell’usura e del racket, e soprattutto una legge organica sull’azzardo. In aula non sono mai arrivate né la proposta dell’Antimafia né il testo della Commissione Affari sociali e neanche quelle parziali sul divieto di pubblicità.
Antonio Maria Mira
Beni culturali. Fondi per i siti archeologici e boom dei musei. La cultura torna al centro nei finanziamenti
La «cultura al centro» e basta con l’idea che «con la cultura non si mangia». A voler sintetizzare, sono queste le due direttrici che hanno ispirato il ministero della Cultura nell’ultimo quinquennio, retto per un anno da Massimo Bray e dal 2014 da Dario Franceschini. E in questi anni si è assistito alla rinascita di Pompei, su cui il governo ha investito fino al 2020 circa 105 milioni di euro, ma che continua a perdere pezzi (è di appena due settimane fa il crollo di un muro nella Casa della Caccia ai tori). Come pure al boom nei musei, aiutati dall’iniziativa delle domeniche gratuite, che nel 2016 ha fatto registrare il record assoluto di 45,5 milioni di ingressi nelle strutture statali (l’incasso è cresciuto in tre anni di 47 milioni di euro). Ma a caratterizzare gli ultimi tre anni di gestione Frasceschini sono stati soprattutto l’Art Bonus, lo strumento per incentivare il mecenatismo, che ha raggiunto 200 milioni in donazioni per 1.323 interventi sul patrimonio culturale, e il Bonus Cultura. La card da 500 euro riservata ai 18enni – in due anni ha consentito ai ragazzi di spendere 163 milioni di euro in cinema, musica e libri – con la manovra viene prorogata anche fino al 2019 con uno stanziamento di 290 milioni l’anno. A non piacere a tutti, invece, la legge sul cinema e lo spettacolo anche se aumenta i finanziamenti del 60%, stanzia risorse certe per 400 milioni di euro l’anno (certo pochi) e aumenta il credito d’imposta per le imprese di produzione italiane. Ma al responsabile del Mibact si deve anche lo sblocco del turnover che ha consentito di assumere mille persone nel settore e il tax credit librerie, cioè l’aiuto fiscale per sostenere le piccole realtà indipendenti di vendita di volumi nuovi e usati.
Alessia Guerrieri