Formazione, recupero del senso originale e investimento sul tema. Punta dritta la cuore del problema l’onorevole Ileana Argentin, parlamentare del Pd, affrontando il tema degli alunni con disabilità e la presenza degli insegnanti di sostegno. Un aspetto, che nonostante le premesse poste dalla “buona scuola”, non ha trovato l’auspicata soluzione con l’avvio di questo anno scolastico.
Ancora una volta si parla di numero insufficiente di docenti di sostegno rispetto alla richieste. Delusa?
Vorrei premettere che l’ap- proccio della buona scuola non dovrebbe essere solo quello dell’assunzione. E il sostegno non può diventare un passaggio soltanto per entrare in graduatoria e così avere un posto.
Ma le carenze di copertura rimangono.
Non solo di copertura, ma anche di comprensione del ruolo che un docente di sostegno è chiamato a svolgere.
Dove si sbaglia?
Il docente di sostegno non è, mi si passi il termine, un baby sitter dell’alunno disabile, al quale viene affidato e se ne deve occupare. Il docente di sostegno nasce come aiuto al gruppo classe e ai suoi docenti, perché, attraverso competenze professionali specifiche per accompagnare alunni disabili, sia di aiuto ai docenti della classe nella fase di spiegazione della materia anche all’alunno portatore di handicap. E questo non può che avvenire all’interno della classe e non fuori, come in alcuni casi avviene. Non ci si può e non ci si deve “liberare” del disabile. Ecco il senso dell’invito a recuperare quanto prevede davvero la legge 104 del 1991.
Che voto darebbe alla scuola su questo punto?
Direi un cinque. C’è buona volontà, ma poca preparazione. La disabilità non è tutta uguale e dunque occorre prepararsi per aiutare lo studente a superare il suo handicap nella fase dell’apprendimento scolastico. Ecco il docente di sostegno, che, ribadisco, non è una hostess personale.
Quale giudizio dà all’attuale sistema di formazione del docenti di sostegno?
Dico che non serve un tuttologo, ma professionisti specializzati in alcune disabilità. E soprattutto che sviluppino contatti con le famiglie e gli operatori sociali che seguono il disabile.
Il nostro Paese ha il vanto di aver abolito le scuole speciali, integrando i ragazzi disabili nelle classi delle scuole. Un vanto, non le pare?
Il nostro Paese è il migliore del mondo per integrazione degli alunni disabili nelle scuole frequentate da tutti. Un vanto, certo, anche se nel 2017 mi piacerebbe sostituire il termine 'integrazione', che procede dall’alto verso il basso, con quello di 'inclusione', che invece parte dal basso. Vuol dire anche un approccio diverso: è l’ambiente che deve garantire il diritto di tutti a studiare, al di là delle disabi-lità, garantendo gli strumenti necessari. Ci sono situazioni da 10 e lode e altre fortemente inadeguate.
Lei sin dalla nascita è affetta da amiotrofia spinale che la costringe su una sedia a rotelle. Quale è stata la sua esperienza di studente disabile nella scuola italiana?
Sono nata nel 1963 e quando sono andata a scuola io non c’erano i docenti di sostegno. Non nascondo che ho dovuto lottare contro pregiudizi e incapacità di alcuni docenti a insegnare con un alunno disabile. Si andava da chi ti faceva la domanda a piacere a quelli che interrogavano con domande impossibili perché così mostravano di non fare preferenze. Per non parlare della docente che alle medie pretendeva che tutti si alzassero in piedi al suo ingresso, io compresa. Comunque mi sono laureata e oggi mi batto perché quella scuola diventi un lontano ricordo.