sabato 14 dicembre 2013
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Partiti & finanziamento pubblico. Un binomio che gli italiani conoscono dal lontano 1974, quando la legge Piccoli lo introdusse. Quarant’anni di vita politica e partecipazione democratica, ma anche di sprechi, appropriazioni indebite, congressi faraonici, fondi neri, mazzette e Tangentopoli, in una commistione fra pubblico e privato imbarazzante e a volte illegale. «Tu lavori per Botero, ma paga il Ministero», recitava una celebre battuta del film «Il portaborse». Una zona grigia che nel 1993 gli italiani avevano provato inutilmente a cancellare a colpi di referendum. Ma che infine, se il decreto del governo verrà convertito in legge, dal 2017 non tornerà. «Visti i tempi e il clima politico, era inevitabile. Ora i partiti dovranno cambiare pelle. Se prima potevano contare su entrate pubbliche "certe", adesso dovranno innalzare la capacità di fund raising con donazioni private, trasparenti e certificate...», ragiona Antonio Misiani, deputato e tesoriere uscente del Pd che domenica lascerà il testimone al renziano Francesco Bonifazi. La spinta per un taglio netto, esercitata dal premier Enrico Letta ma sventolata anche dalle truppe pentastellate di Beppe Grillo e dall’ex rottamatore Matteo Renzi (che vuol fare dimagrire anche i sindacati), aveva già portato (legge 96 del 2012) al dimezzamento dei rimborsi elettorali: 91 milioni anziché 182. Per la legislatura in corso, invece, i rimborsi elettorali per 5 anni ammontano a 159 milioni: 46 al Pd, 43 al M5S che ha rinunciato, 38 all’ormai defunto Pdl e 15 alla lista Monti, solo per citare i partiti con più voti. Ma dal 2017, tutto dovrà cambiare, favorendo la «trasparenza»: il caso dell’ex tesoriere Luigi Lusi, sotto processo con l’accusa di essersi appropriato di 20 milioni della Margherita, ha fatto indignare l’Italia. Inoltre, l’austerità dovrà convivere col marketing, come fanno le onlus umanitarie: «Sarà il ritorno a forme di volontariato alimentate dalla passione politica, alle feste, agli autofinanziamenti, che peraltro il Pd in periferia ha sempre tenuto vive», auspica Misiani. E sarà difficile che sopravvivano partiti-elefante, con bilanci in profondo rosso: il rendiconto 2012 del Pd, a ottobre in Gazzetta ufficiale, segnalava un passivo di 7,3 milioni e una struttura centrale imponente (198 dipendenti, fra cui 17 giornalisti, 165 amministrativi, 13 collaboratori e 5 autisti full time). «Ora sono di meno – precisa Misiani –. Nel 2013 ne sono stati ricollocati, fra distacchi e aspettative, una cinquantina...».Passivo nel 2012 anche per l’ormai defunto Pdl: meno 3,7 milioni. «Nel partito le casse sono vuote», si è lamentato a giugno il tesoriere azzurro Maurizio Bianconi, ora passato a Forza Italia. C’è chi invece un patrimonio potrebbe averlo, ma dovrà prima disputarselo, come avverrà fra gli "eredi" di Alleanza nazionale divisi, oltre che dalle scelte politiche, dalle mire su 55 milioni di euro di rimborsi più 70 immobili intestati alla fondazione creata da Fini all’entrata nel Pdl (e vincolati per le vertenze in corso). Chi invece non accampa pretese sul passato è il Nuovo Centrodestra: «Non abbiamo voluto neppure un euro del finanziamento pubblico dell’ex Pdl – rivendica il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello –. La nostra esperienza dimostra che un partito può nascere senza finanziamento pubblico. Siamo la prova vivente che l’entusiasmo delle persone e la voglia di partecipare contano più dei soldi».
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