Il governatore campano De Luca, in Consiglio regionale prima del voto - Ansa
La Campania apre il fronte delle Regioni pronte a chiedere il referendum abrogativo sull’autonomia differenziata. Oggi sarà la volta dell’Emilia Romagna, poi toccherà a Sardegna, Puglia e Toscana. L’azione delle cinque Regioni governate dal centrosinistra si aggiunge a quella delle 34 sigle, tra cui ci sono tutti i partiti di opposizione (tranne Azione), Cgil e Uil, che venerdì scorso hanno depositato in Cassazione il quesito referendario per chiedere l’abrogazione della legge Calderoli, che ha istituito l’autonomia differenziata. Entro settembre, i 34 promotori dovranno raccogliere 500mila firme.
Il piano del governatore
«L’ambizione è quella di ricreare lo spirito rivolto alla difesa dell’unità d’Italia. Non prendiamo una decisione per consolidare le bandiere, ma per far prevalere la ragione» ha spiegato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, durante la seduta del Consiglio regionale che ha approvato a maggioranza (36 voti a favore, 9 contrari e una sola astensione) la proposta per richiedere la consultazione referendaria, ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione e a norma della legge n. 352/1970. «Se c’è una cosa deprimente in questi anni è che il dibattito sull'unità d'Italia è diventato solo un dibattito contabile», ha proseguito De Luca ricordando che l’Italia non «è più Italia se ci non sono Napoli ed il Sud». De Luca ha poi un po’ a sorpresa aperto al dialogo con le regioni settentrionali. «Io credo che ci siano forze importanti anche nel Nord che credono all’unità di Italia in termini sinceri. E noi vorremmo parlare a loro».
Il governatore campano non ha poi risparmiato critiche anche alla sua parte politica ricordando come «la riforma del titolo V è stato un errore drammatico. È stata una scelta di debolezza ed opportunismo; scelta fatta a maggioranza, un errore che ha creato un precedente. L’attuale governo ripete quell'errore. Non c'era alcun necessità di blindare questo processo». La linea della giunta campana è presto detta. «Burocrazia zero è la proposta che facciamo alle forze produttive del Nord. Riteniamo che su questa linea possiamo introdurre delle modifiche legislative. Nessuno di noi ha voglia di fare crociate referendarie. Sediamoci intorno a un tavolo, costruiamo un filo di ragionamento e vediamo di ritrovare lo spirito risorgimentale», ha sottolineato De Luca. «Abbandoniamo le bandiere di partito per un attimo - aggiunge - e confessiamo in maniera onesta che noi, attuale opposizione nel Paese, siamo corresponsabili di alcune scelte fatte in maniera non responsabile per l’Italia e per i rapporti parlamentari. Abbiamo dormito, riconosciamo i nostri limiti e problemi, poi veniamo alla situazione attuale».
Lo stop delle imprese
Dal canto loro, giovedì scorso, i rappresentanti delle cinque Regioni a guida centrosinistra avevano già tenuto una riunione tecnica in forma telematica con l’obiettivo di elaborare un testo condiviso. Entro fine luglio, i Consigli regionali potrebbero votare il testo definitivo. Come è noto, il referendum abrogativo, previsto dall’articolo 75 della Costituzione, può essere proposto da mezzo milione di firme o, appunto, da cinque Consigli regionali. Ieri, il Consiglio regionale della Campania, riunito in seduta straordinaria, ha approvato due testi. Al presidente del Consiglio regionale, Gennaro Oliviero, toccherà ora comunicare l’esito del voto ai Consigli regionali di tutte le altre Regioni, invitandoli all’adozione di un provvedimento uguale: scontato il “sì” delle altre quattro Regioni governate dal centrosinistra. La manovra a tenaglia del fronte del “no” dovrà superare anche lo scoglio dell’ammissibilità stessa del referendum. La legge Calderoli, infatti, è collegata a quella di Bilancio, e per questo motivo potrebbe rientrare nella casistica delle leggi per le quali è impossibile il ricorso al referendum abrogativo. È per questo che, insieme al quesito abrogativo in senso stretto, le cinque Regioni ne dovrebbero presentare anche un altro sui contenuti più specifici della norma. Non ci sono solo le cinque Regioni di centrosinistra, i partiti di opposizione in Parlamento, i sindacati e tutte le altre sigle a costituire il fronte del “no” all’autonomia differenziata.
In Campania, come nelle altre regioni meridionali, anche gli industriali sono apertamente schierati contro la riforma targata Lega. Nelle settimane scorse, il presidente dell’Unione Industriali Napoli, Costanzo Jannotti Pecci, aveva chiesto ai deputati eletti nel Sud Italia, al presidente della Camera, ai capigruppo di Montecitorio, ai segretari dei partiti di rinviare il voto sulla legge Calderoli e aprire «finalmente » un ampio dibattito sulla questione. « L’infausta riforma del titolo V della Costituzione – scriveva il presidente dell’Unione Industriali Napoli − ha aggravato il divario territoriale, anche in termini di servizi e prestazioni pubbliche resi ai cittadini meridionali. In tale scenario, porre come prioritario, anziché l'intervento volto a ridurre gli squilibri, un provvedimento di riforma che accentui i poteri di alcuni enti regionali, è paradossale».
Il nodo del metodo
A riforma approvata, Jannotti Pecci è tornato sul tema. «Sta di fatto che la legge è definitiva, e dobbiamo tenere conto che l’ultima parola spetta alle istituzioni. La nostra intenzione, a questo punto, è operare affinché, nella sua attuazione, siano evitate modalità tali da compromettere gli interessi del Mezzogiorno e, quindi, dell’intero Paese. Al riguardo, ricordo solo il rischio, rimarcato da più parti, di una frammentazione dei poteri decisionali in campi come politiche energetiche, porti e aeroporti, commercio estero, istruzione, grandi infrastrutture». Secondo il presidente dell’Unione Industriali Napoli, «si tratta spesso di materie per le quali la linea di tendenza è di ricercare coordinamenti su scala europea, sovranazionali dunque, e che sarebbe controproducente e dannoso, anche per le imprese, fossero gestite a livello territoriale. L’auspicio, al riguardo, è che i trasferimenti di competenze avvengano solo sulla base di studi, finora mai prodotti o quanto meno pubblicizzati, che evidenzino una maggiore efficacia nello svolgimento di determinate funzioni, se effettuate dalle Regioni piuttosto che dallo Stato centrale». Anche nel mondo cattolico campano non mancano le perplessità sull’autonomia differenziata. Antonio Mattone, esponente della Comunità di Sant’Egidio, che nei giorni scorsi ha partecipato alla 50esima Settimana sociale dei cattolici di Trieste, osserva: «Dal mio punto di vista, questa riforma è sbagliata innanzitutto nel metodo: le grandi riforme, soprattutto quelle costituzionali, devono avere la maggiore condivisione possibile. Non può si andare avanti così: ogni volta che cambia il governo, cambiano le strutture portanti del Paese. Esiste un principio democratico: la Costituzione è stata fatta insieme. Questo spirito divisorio invece non aiuta il Paese a crescere. Condivido anche le preoccupazioni espresse dalla Cei a proposito dell’autonomia differenziata: questa riforma rischia di minare il vincolo di solidarietà tra le Regioni, soprattutto per quanto riguarda alcune materie: penso alla sanità, per esempio».