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L’Europa diventi adulta, prenda in mano il suo destino, dalla competitività alla difesa: sarà la migliore risposta alla vittoria di Donald Trump. E la Germania con Friedrich Merz al timone tornerà forte per il bene anche dell’Europa. Manfred Weber, presidente del Partito Popolare Europeo e del gruppo Ppe al Parlamento Europeo, in questa intervista ad Avvenire analizza così l’impatto del voto Usa sull’Europa e la crisi nella sua Germania.
Presidente, la coalizione a Berlino collassa proprio mentre l’Europa cerca di serrare i ranghi di fronte alla vittoria di Trump.
C’è una buona notizia: l’opportunità di avere al più presto un nuovo governo tedesco sotto la guida di Friedrich Merz (il leader Cdu, ndr), l’esecutivo attuale ormai non era più in grado di funzionare. Merz conosce molto bene gli Stati Uniti ed è stato anche eurodeputato, dunque conosce molto bene anche la politica europea. Potrà assicurare, dalla Germania, stabilità in Europa. Ecco perché diciamo che abbiamo bisogno di un cambio di governo al più presto. Ulteriori ritardi a Berlino sono un danno anche per l’Europa. Oggi giorno sprecato è un giorno nero per l’Europa, proprio ora che abbiamo tante sfide da affrontare.
Che cosa risponde a quanti temono per la Germania, che tornano a parlare di nuovo di “malato d’Europa”?
La Germania ha una grande forza al suo interno. Non appena riavremo stabilità e ricominceremo a fare politica per la gente e per le imprese, potrà ripartire la locomotiva tedesca per tutta l’Europa. Lo abbiamo già dimostrato nella crisi di vent’anni fa. Anche allora ci chiamavano il “malato d’Europa”. Poi, grazie al nuovo governo federale guidato da Angela Merkel (che nel 2005 batté il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, ndr) ci siamo ripresi. Decisivo è ora che anche adesso riceviamo un chiaro mandato, ci impegneremo in questo senso nella campagna elettorale.
Parliamo ora della vittoria di Trump. Molti parlano di Europa più sola, ma anche di una “sveglia” che è suonata per l’Ue. La vede così anche Lei?
Vede, gli europei devono farsi anzitutto una domanda: le questioni, le sfide europee, ad esempio in Ucraina, devono esser decise a Washington, o invece noi europei abbiamo qui un ruolo? Guardiamo fissi a Washington, quando sono in gioco questioni assolutamente nostre. Io personalmente sono molto a favore di forti relazioni transatlantiche, ma è chiaro che l’Europa deve diventare adulta. L’Europa deve essere in grado di affrontare le sfide del momento da sola. E qui si pone una seconda domanda: siamo in grado di farlo? Abbiamo la forza necessaria? L’Ue ha il 20% del Pil mondiale, lo stesso degli Usa. Dunque, siamo allo stesso livello, soprattutto se siamo uniti, se parliamo con una voce sola. Per questo dobbiamo porci anche questioni strutturali, e cioè come possiamo far valere la forza di questo continente. L’Europa ha bisogno di entrare in una nuova era. Di una cosa dobbiamo renderci conto: con Joe Biden lascia la Casa Bianca l’ultimo presidente Usa transatlantico. Ecco perché dico che queste elezioni costituiscono un cambiamento fondamentale.
Insomma, serve un grande salto in avanti?
Certamente. Come dicevo, l’Europa si deve porre domande fondamentali. Prima ancora di parlare dell’America, parliamo di quello che dobbiamo fare noi. Nel concreto, sono lieto che al vertice di Budapest si sia parlato del rapporto Draghi. E’ un punto di orientamento per quello che dobbiamo fare. Dovrà ora essere attuato. L’Europa è forte economicamente, non dobbiamo sminuirci, ma dobbiamo liberarci dai legacci che ci bloccano per affrontare il futuro. Secondo punto, ci serve anche il pilastro della difesa europea. Ed è bene che con Andrius Kubilius avremo ora il primo commissario europeo alla Difesa. Ci serve un mercato interno della difesa per acquisti a prezzi migliori, ci servono strutture comune, ad esempio per lo scudo missilistico, la cyber-difesa, dove l’Europa è più forte insieme, e dobbiamo pure rafforzare i nostri eserciti nazionali. Vogliamo insomma rafforzare il pilastro europeo della Nato al punto da mostrare all’America che siamo davvero partner, che ci occupiamo delle nostre questioni. Insomma: fare i nostri compiti, ecco la miglior riposta a Donald Trump.
Già, ma intanto proprio la Germania e vari altri Paesi “frugali” bloccano una delle ricette chiave di Draghi: la possibilità di debiti comuni Ue per affrontare investimenti così ingenti.
Guardi, quello che ci serve è una discussione molto onesta sulla questione dei finanziamenti, visto che si tratta di questioni epocali. Come presidente del Ppe, mi sento in dovere di ricordare che per il Piano di rilancio post-pandemia abbiamo contratto miliardi di debiti (in totale 800 miliardi a prezzi correnti, ndr) e ancora oggi non è chiaro come le potremo ripagare. Perché è chiaro: una politica seria non consiste semplicemente nell’andare in banca e fare debiti, che è un po’ l’impostazione soprattutto della sinistra, ma anche l’onestà di dire come faremo a finanziarli. Altrimenti, per risolvere ora i nostri problemi, andiamo a gravare le generazioni future. Non basta: vorrei ricordare che tra molti dei fondi del Piano non sono stati ancora spesi. Inoltre, abbiamo messo a disposizione fondi Bei che non sono stati ancora utilizzati. E poi nei bilanci dei grandi Stati Ue (Italia, Francia, Germania, Spagna) ci sono ingenti risorse. La prima domanda dev’essere: spendiamo bene i nostri soldi? Ci serve una verifica sistemica, dobbiamo darci nuove priorità, dobbiamo spendere di più per gli investimenti del futuro. Peraltro, ricordo che lo stesso Draghi ha detto che gli 800 miliardi di euro da lui stimati potranno essere mobilitati solo coinvolgendo l’economia privata. Dobbiamo insomma pensare da economia di mercato, non in modo statalistico- dirigistico. Bisogna far sì che ci sia voglia di investire in Europa.
Torniamo alla vittoria di Trump. C’è chi teme che finisca per rafforzare proprio l’estrema destra, le forze anti-Ue. Lei che ne pensa?
Guardi, una chiara prova di dove va il continente sono le passate elezioni europee. Ebbene, 180 milioni di elettori sono andati alle urne, più che in America, e a vincere è stato il centro moderato, mentre socialdemocratici, liberali, verdi non hanno vinto. Il futuro è insomma nel centro moderato, al Ppe aderiscono 14 capi di Stato e di governo. La gente ci dà fiducia. Aggiungo però che questa fiducia comporta una grande responsabilità: dobbiamo mantenere le promesse.
In che modo concretamente?
Citerei due ambiti: primo, la gente deve sentire che le grandi questioni economiche hanno un impatto sul proprio portafoglio. L’inflazione ha comportato gravi perdite negli ultimi anni. Dobbiamo far sì che la gente capisca che un’economia florida giova anche ai singoli. Secondo, dobbiamo attuare la sicurezza anche nelle sue varie sfaccettare, e questo riguarda anche la migrazione. Dobbiamo assolutamente bloccare i trafficanti di esseri umani. Abbiamo già ottenuto molto, ad esempio con l’accordo di Tunisi, i flussi sono calati di due terzi. E due settimane fa io sono andato in Egitto dove ho incontrato il presidente al Sisi. Se attuiamo l’idea lanciata dal Ppe, un’idea di Antonio Tajani, di un Patto per il Mediterraneo – e cioè cooperazione economica ma anche allo stesso tempo lotta alla migrazione irregolare – mostreremo alla gente che la politica moderata è la soluzione dei problemi.
Lei è a favore dei cosiddetti "return hubs", i centri in Paesi terzi (come quelli in Albania) in cui mandare migranti cui sia stata respinta la domanda di asilo?
Chi, nel quadro di una regolare procedura è stato respinto deve lasciare l’Europa. E dunque abbiamo bisogno di misure che consentano di ottenere questo obiettivo.
Parliamo un momento dei nuovi commissari. Il Ppe appoggia Fitto, ma il centro-sinistra è scettico.
Chiederemo a tutti il pieno appoggio a Fitto. Posso solo appellarmi alla sinistra di smetterla con i comportamenti meramente ideologici. Anche dai socialdemocratici mi aspetto che lavorino in modo costruttivo ai problemi che l’Europa deve affrontare. Ci serve una Commissione che unisce e non divide l’Europa.
Molti sostengono che il Ppe si stia spostando sempre più a destra, guardando sempre più spesso ai Conservatori dell'Ecr di cui fanno parte i Fratelli d'Italia. Lei che risponde?
Ascolti, i cristianodemocratici sono il partito dell’Europa, con De Gasperi, Schuman, Adenauer. Come attuale presidente del Ppe per me c’è una chiara linea rossa contro gli estremisti di destra, i partiti nazionalistici. Noi cooperiamo solo con partiti che sia a favore dell’Europa, dell’Ucraina, dello Stato di diritto. Questi sono i pilastri fondamentale su cui ci basiamo, che sono simboleggiati ad esempio da Donald Tusk (premier polacco, ndr) o dall’opposizione a Orbán di Peter Magyar in Polonia.
Ci mette dentro anche Giorgia Meloni, anche se ovviamente non è nel Ppe?
Il governo italiano rispetta chiaramente questi criteri: ripeto, essere per l’Europa, per l’Ucraina, per lo Stato di diritto. Quando, due anni fa, sono stato in Italia e ho incontrato Giorgia Meloni il mio obiettivo era proprio costruire ponti, cooperare in modo costruttivo. E questo con Meloni, insieme ad Antonio Tajani, ci è riuscito. Forza Italia è il partito che, attraverso il Ppe, può difendere con forza gli interessi italiani in Europa.