Secondo l’Agenzia europea Frontex, dal 2015 al 2021 sono stati poco più di un milione gli ingressi di migranti irregolari nei Paesi balcanici - Linda Caglioni, Lucrezia Lozza e Lavinia Nocelli
Hassan rigira tra le dita una scatola di tranquillanti. È una confezione di un farmaco largamente in uso contenente benzodiazepine, tra le poche cose che conserva della sua permanenza in uno dei tanti campi profughi in Grecia. A mesi di distanza da quell’esperienza, la scatola è quasi piena, nonostante il medico della struttura gli avesse prescritto l’assunzione di mezza pillola ogni otto ore.
«Ho ricevuto una visita medica senza sapere di cosa si trattasse. Una volta terminata, il dottore mi ha detto che un ansiolitico era adatto alla mia situazione. Ma io non capivo perché credesse che avessi bisogno di aiuto. Non avevo riportato disagi, né chiesto supporto. Ho deciso di provare comunque la dose prescritta. E subito dopo mi sono addormentato». Una volta sveglio, Hassan ha cercato informazioni sugli effetti collaterali. «In rete ho scoperto che mezza pillola poteva provocare sonno a lungo. Ho capito che se avessi continuato a prenderne, avrei passato le giornate a dormire. Così ho smesso».
Hassan si ritiene fortunato per aver evitato la dipendenza da psicofarmaci. Ma molti vanno incontro a un destino diverso, a causa delle scarse informazioni date da medici e interpreti sui possibili effetti collaterali di questi farmaci che, in un contesto come quello dei campi, diventano un lenitivo che permette di scordare per qualche ora le violenze subite nel Paese di origine o sulle frontiere. «La situazione nel campo era terribile», dice Hassan, ricordando di aver visto alcuni uomini sotto effetto di psicofarmaci compiere atti di autolesionismo. «Se non avessi visto con i miei occhi le persone diventare dipendenti, avrei continuato ad assumere psicofarmaci, e chissà cosa sarebbe successo».
Il Consorzio di solidarietà di Trieste: certe medicine sono usate come forma di controllo
Le difficoltà che Hassan ha affrontato sono le stesse di altre migliaia di persone che, come lui, hanno intrapreso la rotta balcanica in cerca di un futuro migliore. Sono decenni che il tragitto è percorso da migranti, ma è solo dal 2015, con l’ingresso di 764mila profughi, di cui molti in fuga dalla guerra in Siria, che si è iniziato a parlare di crisi migratoria nei Balcani occidentali.
In questi anni, però, i Paesi più coinvolti dal flusso non si sono mai dotati di strutture adeguate per offrire assistenza sanitaria alle persone in transito. E nonostante la Commissione europea abbia lanciato progetti a sostegno della salute fisica e psicologica nell’area, chi ha vissuto la realtà dei campi profughi racconta di un’assistenza insufficiente. Secondo l’attivista Nawal Soufi, che da anni aiuta le persone sulla rotta, i medici dei campi prescrivono gli psicofarmaci con leggerezza. «I tranquillanti sono dati anche a chi lamenta episodi di insonnia o un banale mal di testa. Dopo la prescrizione, tuttavia, nessuno spiega ai migranti quanto sia importante assumere le giuste dosi o i rischi di mescolare i medicinali ad altre sostanze come alcol o marijuana».
In passato Soufi aveva avviato un progetto per aiutare chi era diventato dipendente. «Affittavo alcuni spazi per accogliere i migranti che abusavano di psicofarmaci e allontanarli dai campi e dai circuiti dello spaccio. Quasi sempre, la dipendenza nel contesto migratorio si risolve garantendo alle persone un posto sicuro, pasti regolari, ma anche attività in cui si sentano di nuovo utili». Sulle rotte migratorie, infatti, anche l’eccessivo tempo libero è pericoloso, perché «la gente rimugina tutto il giorno sulle violenze subite alla frontiera, sulla vergogna per le condizioni in cui si trova. Prendere medicinali diventa un modo per dimenticare. Ho visto tante persone spegnersi, dimenticarsi degli appuntamenti all’ufficio immigrazione per la richiesta di asilo».
Secondo Frontex, dal 2015 al 2021 sono stati poco più di un milione gli ingressi irregolari nei Balcani. Negli anni il flusso è stato altalenante, ma non si è mai interrotto del tutto e il 2022 si è contraddistinto per l’arrivo record di 145mila rifugiati, il 136% in più rispetto al 2021. Secondo il responsabile di una Ong operante in Grecia, una delle principali conseguenze di questi alti numeri è il sovraffollamento delle strutture di accoglienza. «Campi progettati per ospitare non più di 800 persone finivano per accoglierne oltre 3mila. Le autorità sapevano che, a queste condizioni, aumentavano le probabilità che scoppiassero risse. I tranquillanti erano dati per tenere le persone calme». Una delle sostanze più usate era un farmaco a base di pregabalin, un principio antiepilettico-anticonvulsivante. «A volte a terra c’erano scatole di questo farmaco ovunque. In alcuni casi erano gli stessi ospiti a chiederlo e i medici, anche per mancanza di tempo, li accontentavano. La colpa però è di tutto il sistema, e non del singolo professionista, che a volte si ritrova a essere l’unico medico in un campo con oltre mille persone».
L’abuso di psicofarmaci tra i migranti riguarda anche l’Italia e coinvolge in modo particolare i centri di permanenza per il rimpatrio. Al di fuori di questo contesto, tuttavia, gli operatori sottolineano che una volta superata la frontiera slovena la situazione migliora. Lo conferma Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, associazione per rifugiati a Trieste. «La medicina è usata come forma di controllo, soprattutto sulla rotta balcanica, dove l’assistenza sanitaria è da un lato scadente, dall’altro basata sull’uso di farmaci di contenimento, anche se non ci sono dati che indicano questa situazione perché nessuno la vuole sollevare. Lo scenario però cambia quando le persone capiscono che possono accedere a un sistema sanitario che funzioni».
Molte persone considerano Trieste come un nuovo inizio. Per questo, anche se tanti confermano di aver sentito nominare gli psicofarmaci più usati, nessuno vuole riaprire il capitolo. C’è però anche chi preferisce testimoniare, spinto dal desiderio di denuncia. «Abbiamo visto quel farmaco. Fa male alla testa di chi lo prende – spiega Kochay, arrivato a Trieste a marzo –. È un medicinale che ti rende stanco, non ti fa mangiare. Assumerlo è pericoloso. Dovrebbero esserci dei controlli sull’uso di queste sostanze. Ho visto gente assumerne e trovarsi in pericolo, perdere i contatti con la famiglia e ogni speranza per il futuro».
Questo articolo ha ricevuto il supporto di “Investigativejournalism for Europe”