Il momento è delicato, dunque la legge della comunicazione pretende di ostentare sorrisi e sicurezze. Berlusconi lo sa, e interpreta il ruolo alla perfezione dal primo mattino sino a tarda sera. Rintuzzando tutti i fronti da cui si sente assediato: gli ex-Dc, Tremonti, Napolitano... Ciò che non può fare è controllare fino in fondo Umberto Bossi. Che nel pomeriggio consegna ai cronisti, per la prima volta, un
timing preciso della crisi di governo: «Si, il 2013 è troppo lontano. Facciamo prima la legge elettorale, poi andiamo al voto. In primavera? Un po’ dopo...». Quantificando: tra giugno e l’autunno dell’anno prossimo, scansando il pericolo del referendum.Quando il Senatur parla sono le 14.30. Pochi minuti dopo è prevista la riunione di maggioranza sul decreto sviluppo a Palazzo Grazioli. Ma la Lega non c’è. Non c’è nemmeno Tremonti. La cosa si trasforma in uno scambio di idee tra dirigenti del Pdl. E la decisione di nominare Romani coordinatore del pacchetto-crescita, cercando di fatto di commissariare il Tesoro, inevitabilmente perde forza per la loro assenza. Bossi attende di vedere il testo per poi valutarlo. Tremonti si arrocca nella politica del "costo zero" e osserva con scetticismo: «Tanto alla fine sempre da me dovranno venire», si lascia sfuggire con i suoi.I rapporti tra i due sono sempre freddi. Ma stavolta il premier decide di non starsene arroccato a Palazzo Grazioli. Di buon mattino arriva a Montecitorio. Simbolicamente prende il ministro dell’Economia sotto braccio e se lo porta alla buvette (dove si scambia una stretta di mano con Bersani) per un caffè. «Tutto bene, concordi su tutto...», assicura il Cavaliere. «Ci dividono solo i soldi», ammicca Tremonti. È una battuta, ma è lo specchio delle ultime polemiche. Il Cavaliere non se ne risente, e con il sorriso ammette: «Nessuno nel mondo può fare miracoli per la crescita, non si fanno le nozze con i fichi secchi». Pochi minuti ed è in mezzo ad una cinquantina di suoi deputati a raccontare barzellette tra le proteste delle opposizioni: «Arriviamo al 2013, salvo imprevisti. Metto io la testa su tutto, farò un decreto concreto, fidatevi». Poi riunioni a raffica nella sala del governo, anche con Bossi e con la Ragioneria di Stato, per parlare di crescita e tagli ai dicasteri.Colloquio dopo colloquio, si infittiscono le voci sulle "manovre" che starebbero organizzando gli ex Dc Pisanu e Scajola. «No, non mi tradiranno mai...», dice il premier. Che poi aggiunge: «So che Beppe ha fatto i suoi passi, si è visto con Casini, Fini e Rutelli, ma Claudio è un’altra cosa...». Poi arrivano le parole di Napolitano sull’utilità, in alcune fasi storiche, di un governo d’unità nazionale. «E chi è ’sto Pella?», si chiede ironico davanti ai colonnelli Pdl. «Un altro governo è un’ipotesi che mi fa ridere, non farebbe nulla», dice ai giornalisti mentre passeggia ancora con Tremonti in Transatlantico. Ma la frase del capo dello Stato in realtà lo preoccupa, e al fedelissimo Verdini ordina una ricognizione delle truppe parlamentari (anche di quelle altrui, nel caso di un nuovo "14 dicembre") in vista del voto sulle intercettazioni e di altre imminenti prove in Aula. Lui stesso si mette al telefono per allontanare dalle tentazione gli ex Dc.In tarda sera si fa strada un ragionamento. Pur puntando al 2013, il Cavaliere ha come priorità finire l’anno. A quel punto i tempi diventerebbero troppo brevi per un governo diverso, e lui si sentirebbe al sicuro. Superato lo scoglio si arriverebbe a fine legislatura o, come profetizza Bossi, si andrebbe al voto anticipato previa riforma della legge elettorale. «È complicato spennare la gente e farsi rivotare, meglio andare prima alle urne», suggerisce il Senatur prevedendo l’impatto forte delle ultime manovre. Sulla coda il leader del Carroccio piazza una nuova polemica con il Colle: «La Padania è una nazione stimata, l’Italia sta in piedi grazie a noi che pompiamo soldi». Ecco ciò che il premier vorrebbe evitare sino a Natale per scongiurare il "ribaltone": frizioni con il Quirinale, rese dei conti definitive con il Tesoro e cadute in Aula.