giovedì 26 marzo 2015
​Il premier alla resa dei conti con la minoranza Pd: non si cambia più  Lunedì la "conta" in direzione: conseguenze per chi non si adegua in aula.
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È paradossale, ma dopo aver sopportato senza rispondere direttamente - le bordate di D’Alema e Bindi, Matteo Renzi ha perso le staffe di fronte alla proposta del meno celebre Alfredo D’Attorre di costituire un 'tavolo' per correggere le riforme. «Ora basta», è sbottato il premier. E spaccando un pomeriggio politico tutto sommato pigro ha ordinato due gesti politicamente rilevanti: primo, lunedì è convocata la direzione del partito «con voto finale» su Italicum e riforma costituzionale; secondo, già oggi i capigruppo alla Camera chiederanno di calendarizzare la terza lettura della legge elettorale, con l’obiettivo di concludere l’esame prima delle elezioni regionali e senza cambiare una virgola rispetto al testo uscito dal Senato. «Vogliono la verifica, ora l’avranno», è il grido di battaglia di Renzi. Lunedì in direzione la sua linea vincerà a larga maggioranza, dopodiché i gruppi parlamentari dovranno adeguarsi o determinare la spaccatura al buio. «Non si può continuare così, ho vinto le primarie e ho preso il 41 per cento alle Europee, se mi parlano di fare un 'tavolo' impazzisco », si irrigidisce il premier gettando nel cestino, prima ancora che gli arrivi sulla scrivania, la lettera che la minoranza voleva inviargli proponendogli un 'patto di consultazione' per portare avanti le riforme. E invece l’Italicum non cambierà, a Montecitorio, dove il Pd ha numeri schiaccianti, passerà con il premio al partito e i capilista bloccati. «Non c’è più da aspettare, arriveremo alle regionali dimostrando ancora una volta che manteniamo le promesse, che portiamo a casa la riforma più annunciata della storia. E se non lo facciamo ora che l’economia inizia a respirare, non lo faremo mai». Eccolo il ragionamento del premier: la legge elettorale, come gli 80 euro dell’anno scorso, è la chiave per vincere più regioni possibili. Ma anche una mossa di anticipo, perché nel caso le elezioni non andassero bene le minoranze non avrebbero più spazio per chiedere modifiche. Già pregusta, il premier, il giorno in cui potrà twittare «game, set, match», per usare il gergo con cui si chiudono le partite di tennis. Il premier ha deciso non solo di affrontare il nodo dell’Italicum, ma anche quello dei numeri al Senato quando a Palazzo Madama - dopo le regionali - tornerà la riforma del bicameralismo. Alfano ieri ha assicurato che Ncd non passerà all’appoggio esterno. Scelta Civica cresce alla Camera (con l’arrivo dell’ex M5S Paola Pinna), ma al Senato è stata 'renzizzata'. I fedelissimi del premier contano una decina di esponenti dem pronti a votare contro. Tutti «sostituibili» con 'disponibili' verdiniani ed ex M5S. Se le cose non andassero così, il premier è disposto anche al voto anticipato purché non si prosegua in questo gioco mordi e fuggi. E al voto sulle riforme è collegato il rimpasto: il premier ieri ha fatto capire che il Renzi-bis sarà il riflesso della maggioranza che si radunerà intorno alle riforme. Tutti i ministri che fanno riferimento alla minoranza (Orlando, Martina...) sono avvertiti, il voto dei loro uomini in Parlamento è sotto osservazione. Lunedì alla direzione Renzi farà pure aperture, specie sulla composizione delle liste alle regionali. Ma non di più. Domani riparte anche l’attività di governo: sbarcano in Cdm il ddl-Rai e il salva-Ilva. 
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