«Il Memorandum Italia- Libia ha contribuito alla drastica riduzione delle partenze e alla riduzione dei morti sulla rotta del Mediterraneo centrale». Inizia così, la sua informativa urgente davanti ai deputati della Camera, a Montecitorio, sul rinnovo del Memorandum bilaterale del nostro Paese con Tripoli, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Chiamata a dar conto della rinegoziazione del Memorandum annunciata dal governo l’ultimo giorno utile, lo scorso 2 novembre, per scongiurare il tacito rinnovo, la titolare del Viminale non ha però trovato la sponda dell’Aula. Nel mirino di una certa parte del suo stesso governo, sono state soprattutto le parole usate citando il «miglioramento dei Centri di detenzione (tra i punti in negoziazione con Tripoli, ndr) con l’obiettivo di una loro graduale chiusura per giungere a centri gestiti dalle agenzie dell’Onu».
«Ho appena ascoltato alla Camera l’intervento della ministra Lamorgese sulla Libia. Un intervento imbarazzante e ipocrita – attacca il deputato del Pd, Matteo Orfini –. I lager sono 'centri' di migranti. Il memorandum una cornice da difendere. I libici partner affidabili. Davvero vogliamo continuare a far finta di non sapere?» scrive su Twitter senza giri di parole.
L’informativa del titolare del Viminale, sul quale il governo ha chiesto la convocazione della prevista commissione per rivedere alcuni termini dell’accordo, è l’occasione per il centrodestra di marcare le distanze e ribadire la linea della fermezza sul fronte migrazioni, puntando il dito contro il ministro che ha incontrato al Viminale le Ong «che hanno messo in pericolo la sicurezza del Paese» (sottolineano i leghisti) anziché, ad esempio, la Marina militare o le forze dell’ordine impegnate a individuare i trafficanti.
Per le forze di maggioranza (con alcuni malumori tra Pd, come visto e anche alcuni 5 Stelle) invece è l’occasione per segnare la discontinuità con il precedente esecutivo, in particolare con la politica dei 'porti chiusi' di Salvini. Fra i principali obiettivi del rinnovo, anticipa la titolare del Viminale, c’è quella di migliorare le condizioni dei centri, appunto, che saranno gestiti direttamente dall’Onu e il graduale smantellamento di quelli attualmente esistenti. Coinvolgere poi, altri Stati membri dell’Unione europea, nell’attivazione dei corridoi umanitari, con la regia e il finanziamento di Bruxelles, «al fine di alleggerire la pressione migratoria ». E continuare infine la politica degli accordi sul territorio, in particolare con i sindaci lungo le frontiere del sud della Libia per contrastare l’ingresso dai Paesi dell’Africa subsahariana.
Per il leghista Nicola Molteni, «l’Italia non deve demonizzare la Guardia costiera libica ma deve ringraziarla per i soccorsi e i pattugliamenti». «Non possiamo nutrire speranze che ci sia un miglioramento della situazione dei migranti nei centri di detenzione perché quello, come ha detto l’Onu, è un sistema non riformabile » sostiene Riccardo Magi, deputato radicale di +Europa. Occorre invece, «alzare lo sguardo» e investire sulle cause, ovvero «migliorare la vita presso i punti in cui si generano le migrazioni».
E se Tripoli ha risposto subito alla richiesta italiana, manifestando disponibilità a rivedere l’intesa, dal fronte che combatte il governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, arriva un avvertimento. L’Italia e l’Europa «non hanno alcun vantaggio a sostenere il governo di Tripoli, perché la capitale è in mano alle milizie e finché sarà così arriveranno i barconi sulle vostre coste», ha detto Abdulahdi Ibrahim Lahweej, 'ministro degli Esteri' del governo dell’est libico, quello di Khalifa Haftar, non riconosciuto a livello internazionale.