In Italia i giovani che non studiano e non lavorano, i Neet, aumentano a un ritmo maggiore rispetto ai laureati. E questo alimenta il circolo vizioso della povertà educativa che diventa anche povertà economica. L’allarme sul futuro delle nuove generazioni, peraltro non nuovo, è stato rilanciato da Save the children e Fondazione Agnelli, che hanno presentato i dati di “Uno sguardo sull’istruzione” elaborati dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che comprende 38 Paesi.
Fra il 2000 e il 2021, in Italia il tasso di laureati tra la popolazione fra i 25 e i 34 anni è passato dal 10 al 28% (+18%), avanzando più lentamente rispetto alla media Ocse del 21%. Il nostro resta, quindi, uno dei 12 Paesi dell’Organizzazione in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia d’età.
Invece, complice anche la pandemia, la quota di Neet è cresciuta a ritmi vertiginosi, passando dal 31,7% del 2020 al 34,6% del 2021. In pratica, in Italia oltre un adulto su tre, fra i 25 e i 29 anni, non ha un lavoro e non è nemmeno inserito in un percorso scolastico o formativo in generale. Rischiando, annota l’Ocse, «di avere risultati economici e sociali negativi a breve come a lungo termine».
Ecco perché, come osservato dal direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, «studiare conviene per avere un lavoro e retribuzioni migliori», ma anche per assicurarsi «una maggiore partecipazione alla vita civile e capacità di comprendere l’altro».
Un vantaggio che, ancora una volta, in Italia è comunque minore rispetto alla media Ocse. Mentre negli altri Paesi sviluppati, un laureato, nel corso della vita lavorativa, guadagna il doppio di chi non ha un titolo di studio terziario, da noi questo vantaggio, che in ogni caso rimane, si riduce però al 76% in più.
Anche per far crescere il numero di laureati e comprimere quello dei Neet, è necessario investire di più in istruzione. Mentre in media i Paesi Ocse, nel 2019, hanno investito nella scuola (dalla primaria all’università) il 4,9% del Pil, da noi questa quota è ferma al 3,8%. In generale, mentre in Italia la spesa pubblica per l’istruzione è pari al 7,4% del totale, la media Ocse è del 10,6%.
«Sono questi i temi che dovranno essere messi in agenda dal prossimo governo», ha sottolineato la direttrice Programmi Italia-Europa di Save the children, Raffaela Milano, evidenziando la «drammatica crescita dei giovani Neet».
Secondo il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, «il punto più delicato sono le medie». Tema che l’esecutivo aveva messo in agenda «ma avevo bisogno di altri sei mesi», è il rimpianto del (quasi) ex-titolare di viale Trastevere.
Tra tanti punti deboli, l’Ocse nel suo rapporto annuale, mette in luce anche un lato positivo del pianeta scuola in Italia. Fra questi, primo fra tutti l’elevata percentuale di bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia (92%), un dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media Ocse, anche se bisogna ricordare che il monte ore di insegnamento dell’Italia è inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1.071 ore), con una minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Uno svantaggio territoriale osservato anche per quanto riguarda l’offerta di tempo pieno alle scuole primarie, «con le regioni del Sud in netto svantaggio rispetto a quelle del Nord»
In 20 anni i laureati sono cresciuti del 18%. In un solo anno gli adulti che non studiano e non lavorano sono passati dal 31,7 al 34,6%: uno su tre
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