lunedì 11 marzo 2024
La testimonianza dalla Repubblica Islamica. «Noi dobbiamo protestare per desiderare la pace di tutti, per una società nuova, dentro l’Iran e dentro il mondo islamico»
Una donna cammina per strada tra i poster elettorali

Una donna cammina per strada tra i poster elettorali - Reuters

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L’astensione è il vero dato record – auspicato dal movimento "Donna, Vita, Libertà" - delle elezioni di un Iran che il primo marzo ha rinnovato i 299 seggi parlamentari ed eletto gli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti.

I risultati sono ormai noti a tutti, ma il clima che si è respirato, in quelle ore, a Teheran è più difficile da raccontare. «Il nostro Iran non vive solo la disaffezione alla politica, come hanno scritto tanti commentatori nel mondo - racconta Asha Piri, tra le donne che stanno alimentando le proteste iraniane da un anno e che gira con il capo scoperto -. Non è vero che non c’è stato il crollo alle urne. Sì, in passato si sono registrati dati sia peggiori che migliori, ma oggi l’aria che tira è decisamente nuova. Noi giovani di questo Paese abbiamo disertato il voto per dare un ulteriore messaggio alla polizia morale, ma anche per ricordare a tutti che le proteste, quelle nate dopo l’uccisione di Mahsa Amini, non sono mai terminate».

Asha continua raccontando che «nonostante la mia posizione socialmente fortunata, la mia famiglia agiata e che mi lascia utilizzare Telegram e Tik Tok, faccio parte di quella giovane generazione che sta denunciando il malessere sociale e le brutalità a cui la Repubblica Islamica ci sottopone. Non abbiamo capi, non abbiamo qualcuno che ci guida, ma stiamo cercando di utilizzare al meglio il passaparola dei social, sfruttando anche il fatto che i vecchi capi del nostro Iran hanno spostato la loro attenzione verso Israele e la Palestina. È tragico ammettere che la tragedia di Gaza stia dando una mano alla nostra organizzazione dal basso, alla speranza di contrastare non solo l’ayatollah, ma anche la formazione di un’Assemblea, che si sta già profilando come altrettanto violenta, anche se si autodefinisce ‘nuova’. La distrazione del voto fa sì che i dibattiti si siano spostati sulla nuova minaccia nucleare, sulle difficoltà nel Mar Rosso e, noi riusciamo a incontrarci virtualmente e a tentare di ricordare ai giornalisti che ci ascoltano che i leader ora al potere non sono ispirati da nessuna morale, da nessuna religione, ma fingono di appoggiarsi al clero per continuare la loro corsa alle armi, nella ridefinizione del ruolo dell’Iran. Per questo nominano spesso Gaza. Non c’è umanità nelle loro parole. Solo interessi».

Asha racconta di essere impietrita da quanto sta accadendo a Gaza e, dentro di sé, dice di sentire una volontà di cambiare lo stato delle cose: “La lotta delle iraniane è una lotta per la libertà globale, per i diritti dei rifugiati, per il nostro ambiente, per la libertà di religione. Nei giorni dell’elezione, a Teheran, ci sono stati voti spiati, voti corrotti, ma ci sono stati anche padri e mariti che hanno detto alle loro figlie di stare a casa. Il nostro Paese vuole la conciliazione, vuole fare i conti con un dolore comune e vuol dimenticare anche lo slogan del 2009: né a Gaza, né in Libano, do la mia vita per l’Iran. Noi dobbiamo protestare per desiderare la pace di tutti, per una società nuova, dentro l’Iran e dentro il mondo islamico. Ci sono tanti iraniani, e soprattutto iraniane, che sui sociali precisano di non volere la guerra, di non volere gesti estremi e questo messaggio è rivolto anche a Israele e alla politica pericolosa di Netanyahu. Questo non vuol dire che, dalla nostra ottica di giovani donne dell’Iran, non ci rendiamo conto delle relazioni pericolose fra Hamas e i nostri violenti capi».

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