«Il decreto cosiddetto "svuota carceri" da solo non basta. Attuato, potrà far uscire 2 o 3 mila detenuti, ma dopo un mese saremmo punto e daccapo, potremmo incorrere nuovamente nella condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo». Il picchetto degli agenti di Rebibbia ha appena reso gli onori a Mario Mauro che lascia la casa circondariale sulla Tiburtina, accompagnato dal capo del Dap Giovanni Tamburino. E il ministro della Difesa non rinuncia a pronunciare le due parole tabù: «amnistia» e «indulto». Spiega: «Sono parole inserite nella nostra Costituzione. Ho condiviso pienamente il provvedimento del governo, ma credo che il Parlamento debba ora prendere in esame queste opportunità istituzionalmente previste cui non si fa ricorso da oltre 20 anni».
Sono misure che non suscitano grande popolarità, neanche nell’anno giubilare furono vinte le resistenze...Sono 14 anni che giro le carceri, non solo italiane, l’ho fatto anche come rappresentante della presidenza Osce e sento di non potermi esimere oggi che ho la responsabilità di ministro. Quando a San Vittore ad esempio viene fuori che lo spazio riservato a degli esseri umani è inferiore a quello che viene previsto per il trasporto degli animali da macello credo che per lo Stato si imponga una sorta di inversione dell’onere della prova. È lo Stato a dover individuare soluzioni efficaci per rimuovere questo macigno.
Rebibbia però passa quasi per un carcere modello. Che condizioni ha trovato?Lo è per l’impegno e l’abnegazione di dirigenti e agenti che desidero ringraziare per il lavoro che svolgono, non solo qui. Lo è per ampiezza e disponibilità di spazi rispetto ad altre strutture, tuttavia è anch’esso sovraffollato. Ma ho visto scene edificanti che hanno suscitato in me viva commozione. Come ad esempio la competenza e la dedizione con cui viene assicurato il servizio di <+corsivo>call center<+tondo> del Bambin Gesù.
Detenuti che gestiscono la segreteria dell’ospedale pediatrico?Sì, e in modo eccellente, ho potuto riscontrare. Non solo. A Rebibbia viene gestito, ad esempio il 12-54, il servizio informazioni della Telecom. Ma ci sono anche altre attività di alto livello, come il servizio
catering "Aggiungi un posto a tavola" e una bellissima attività di artigianato che recupera resti di produzione e materiale riciclato.
Ma la strada del lavoro, all’esterno o dentro il carcere, non può evitare misure meno popolari, come, appunto, amnistia e indulto?La strada del lavoro è quella giusta. La recidiva di chi lavora all’esterno è poco più dell’uno del cento, negli altri casi sale fino al 90. E non è solo questo dato a rendere perfino conveniente un approccio diverso al carcere: sul piano economico ricordo che un detenuto costa 250 euro al giorno, recuperarlo è quindi un risparmio per la collettività prima ancora che un obiettivo costituzionale. Tuttavia non basta. I dati sul sovraffollamento, a fronte dell’inadeguatezza delle strutture e delle risorse stanziate, impone di parlare anche di amnistia e indulto.
Ma le misure già adottate col decreto del governo che impatto potranno avere?Ho parlato con molti detenuti. Temono che ci siano ancora troppi impedimenti per rendere pienamente efficace il provvedimento del governo che apre a misure alternative.
La sua idea, però, di introdurre amnistia e indulto non incontra ancora grandi adesioni. C’è delusione?Guardiamo in positivo. Non registra neanche opposizioni pregiudiziali. Sono convinto che in questo Parlamento ci siano tutte le condizioni per prenderla in esame, anche per le ricadute di natura economica, se proprio non si vuol guardare in faccia questa enorme disumanità.