martedì 4 giugno 2024
Fino a seimila euro spillati da pseudo-imprenditori a stranieri in attesa di permesso di soggiorno per lavoro. Da Nord a Sud, sono diverse le inchieste aperte sui raggiri ai decreti flussi.
Immigrati che lavorano nei campi in Calabria.

Immigrati che lavorano nei campi in Calabria. - Fotogramma

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Non c'è solo il sospetto derivante dalla discrepanza fra i dati delle richieste e quello dei datori di lavoro, contenuto nell'esposto affidato dalla premier Giorgia Meloni al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, il cui compito -precisa la stessa Direzione nazionale antimafia - resta quello di fornire "impulso e coordinamento" alle indagini delle procure distrettuali, che stanno già indagando sul fenomeno. Già perché diversi pm, da Nord a Sud, stanno già accertando come l'escamotage truffaldino delle false assunzioni di migranti, approfittando dell'impalcatura normativa costruita dai decreti flussi, venga utilizzato da diversi imprenditori, agricoli e non solo, a volte collusi con reti criminali. Dalla Lombardia all'Emilia Romagna, dalla Puglia alla Campania, per finire con la Calabria, sono parecchi i fascicoli d'indagine sulle frodi che consentono ai datori di lavoro di incassare illecitamente sulla pelle di migranti con il sogno di ottenere un permesso di soggiorno. Ecco alcuni casi.

La lente della procura di Napoli

Napoli è il capoluogo di Regione in cui sarebbe stato registrato il maggior numero di richieste per il nulla osta nello scorso click day e la procura, guidata dallo scorso ottobre dal magistrato Nicola Gratteri tiene acceso un faro sulla situazione, per accertare se ci siano datori di lavoro abili nel promettere regolarizzazioni di lavoratori extracomunitari, senza però completare le richieste.

Migliaia di euro per una promessa

A Modena e Parma, gli inquirenti hanno accertato che, per un permesso di soggiorno, venivano chiesti agli immigrati anche 2mila euro. Ancor peggio in Calabria, nella piana di Sibari, dove alcuni imprenditori senza scrupoli si servivano di un mediatore per proporre a cittadini stranieri il pagamento di 6mila euro in cambio della promessa di un posto di lavoro, che garantisce la possibilità di restare in Italia regolarmente.

La ragnatela: colletti bianchi, funzionari pubblici e imprenditori senza scrupoli

Anche in altre Regioni, il trucco faceva incassare denaro a reti di malfattori. Pochi mesi fa, in Salento, carabinieri e Guardia di Finanza hanno arrestato tre imprenditori con l'accusa di aver favorito l'immigrazione clandestina di 900 migranti. In pratica, titolari di ristoranti, di aziende agricole oppure di imprese edili, falsificavano atti e documenti attestanti fittizie assunzioni: per ogni singola pratica relativa al rilascio del permesso di soggiorno, pretendevano 1.500 euro, richiedendo poi al ministero dell'Interno il "modello informatico" attestante l'assunzione dei migranti. Così facendo, avevano raggranellato una fortuna, incassando oltre un milione e trecentomila euro. Un cliché ripetuto a Cerignola, nel Foggiano, dove la somma chiesta a ciascun aspirante bracciante agricolo era di 3mila euro. Anche lì, gli inquirenti hanno indagato a lungo prima di ricostruire la ragnatela di complicità: alla fine, per le finte assunzioni in agricoltura sono finiti agli arresti venti indagati, fra imprenditori, colletti bianchi e funzionari pubblici (uno in servizio all'Inps, un altro ex prefettizio), accusati a vario titolo di associazione a delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, peculato, riciclaggio, falso in atto pubblico, contraffazione di sigilli e traffico di influenze illecite.



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