(Guardia di Finanza)
Chi li apostrofava come i postini 'delle grazielle', per via delle colorate biciclette da donna usate negli spostamenti in città, non immaginava certo uno squallido giro di lavoro nero come quello documentato ieri dagli uomini della Guardia di Finanza di Egna, in provincia di Bolzano.
Dopo un anno e mezzo di indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Vicenza, hanno svelato un sistema di caporalato ai danni di 41 lavoratori stranieri, per lo più indiani, pachistani e algerini, 'scaricati' all’alba dai furgoncini nelle città e nei paesi della Bassa Atesina, fra Trento e Bolzano, per imbucare nelle cassette materiale pubblicitario. Un 'porta a porta' sorvegliato e senza pausa perché i postini sulle due ruote erano sfruttati fino a tarda sera anche per 15 ore al giorno, sei dì alla settimana, sotto il controllo severo di un caposquadra. Che non risparmiava minacce di licenziamento o percosse, in caso di rivelazione alle forze dell’ordine delle reali condizioni di lavoro e di compenso: dai 500 ai 700 euro al mese. E molti di loro non sapevano che, a distanza, erano monitorati negli spostamenti e nelle consegne dai sistemi di Gps normalmente utilizzati solo per la tracciabilità delle merci.
«Associazione per delinquere» e «illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro», ma anche «violazioni delle norme di sicurezza ed evasione fiscale»: di questi reati dovranno ora rispondere i due italiani arrestati (di 21 e 65 anni) e i cinque indiani (dai 29 ai 51 anni) fra i quali colui che è stato individuato come il regista del sistema di volantinaggio in nero: era stato lui a registrare ai fini fiscali la società nella sede di Vicenza, articolata poi in altre quattro ditte individuali e altrettante società per gestire al meglio la ramificazione dello sfruttamento in Trentino e nella parte meridionale della Provincia autonoma di Bolzano.
Ha ammesso la propria responsabilità anche l’amministratore del gruppo, che si era finto iscritto all’Albo dei commercialisti (dovrà rispondere anche di esercizio abusivo della professione) per far passare documentazioni fasulle e una irregolarità contributiva che ora la Guardia di Finanza punirà con sanzioni amministrative dopo aver sentito gli uffici territoriali di Inps e Inail.
Le fotografie scattate dai finanzieri parlano da sole: tante biciclette leggere, spesso senza freni, con i cestini carichi. E soprattutto quelle pile di depliant pubblicitari, straboccanti da furgoni fatiscenti e insicuri, a rischio incidente negli spostamenti mattutini. Partendo da questi appostamenti e dai movimenti sospetti denunciati da non pochi cittadini la Guardia di Finanza ha smascherato lo sfruttamento ai danni degli addetti, spesso giovani, per lo più pachistani o indiani.
Ma chi ha potuto o dovuto accettare questa forma di schiavitù? «Alcune persone dicono di avere domicilio nella Bassa Atesina o in Veneto – risponde il tenente colonnello Manfred Libera, della Guardia di Finanza di Bolzano – ma la maggioranza risulta senza fissa dimora, per lo più single, senza legami familiari in Italia e spesso costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie». Gli inquirenti aggiungono che questa prima indagine nell’ambito della distruzione commerciale mira ora a definire il perimetro territoriale del lavoro nero, dal momento che le ditte collegate alla regia indiana hanno sede nelle province di Vicenza, Trento, Verona e Milano.
Il sistema dei postini 'sfruttati' interroga e preoccupa anche le realtà di volontariato trentine e altoatesini che si occupano di immigrati, attente a non favorire ingiuste generalizzazioni ma anche a prevenire fenomeni illegali: «In quest’ambito il fenomeno del lavoro nero finora ci risultava fosse contenuto – commenta Paolo Valente, direttore della Caritas Alto Adige – ma fanno bene le forze dell’ordine a stroncare le attività illegali, anche per far emergere invece tanto lavoro che viene compiuto nella piena legalità dagli immigrati e dagli altri lavoratori di questo specifico settore».