mercoledì 3 gennaio 2024
Dopo il rogo che ha devastato il "San Giovanni" della città laziale, tra 8 e 9 dicembre, 350mila persone sono rimaste senza riferimento sanitario. L'appello accorato di monsignor Mauro Parmeggiani
Pazienti evacuati il 9 dicembre dall'ospedale di Tivoli andato a fuoco la notte precedente

Pazienti evacuati il 9 dicembre dall'ospedale di Tivoli andato a fuoco la notte precedente - Ansa

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Una «grande ferita» per la comunità: così il vescovo di Tivoli e Palestrina Mauro Parmeggiani ha definito durante la Messa di fine anno nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Tivoli l’inaccessibilità dell’Ospedale San Giovanni Evangelista, devastato da un drammatico incendio nella notte tra 8 e 9 dicembre. Il rogo, nel quale morirono tre pazienti ultraottantenni, ha lasciato un’area di 350mila abitanti priva del suo principale riferimento sanitario, con tempi di ripristino ancora ignoti (il governatore del Lazio Francesco Rocca ha detto che «per rendere di nuovo funzionale l’ospedale ci vorranno dai 4 ai 6 mesi»). Un’incertezza che grava come un’ipoteca sull’anno appena iniziato, con uno stato d’animo di grande preoccupazione del quale monsignor Parmeggiani si è fatto accorato portavoce.

Se è vero che la ferita «è stata arginata quanto al numero delle vittime, per le quali stasera preghiamo», ha detto il vescovo, tuttavia la sua presenza dolorosa e incombente «fa ancora paura ai tanti ammalati, anziani, a tante mamme che devono partorire, ai tanti che ogni giorno andavano a curarsi presso di esso, al personale medico e paramedico che ha perduto il proprio abituale luogo di lavoro. Da quel 9 dicembre – ha aggiunto Parmeggiani – ci sentiamo più fragili perché se dovessimo aver necessità di cura della salute non abbiamo punti di riferimento vicini e perché la chiusura del nostro ospedale pone sotto stress la cura che viene prestata in altri ospedali intorno a Tivoli per il numero maggiorato di pazienti che devono ospitare e curare e il servizio di trasporto assicurato dalle ambulanze che dovendo percorrere lunghi tragitti si rivelano insufficienti alla bisogna». All’indomani del disastro si erano messi a disposizione gli ospedali romani Sant’Andrea, Pertini, Umberto I, Tor Vergata e le strutture di Subiaco, Palestrina e Colleferro, mentre l’Azienda regionale emergenza sanitaria ha messo a disposizione 10 ambulanze. Intanto per una prima gestione dei casi di emergenza è stata allestita una tensostruttura davanti alla palestra comunale.

Una concretezza che non può però limitarsi a provvedimenti-ponte ma deve mirare a ristabilire la normalità nel più breve tempo possibile. Il vescovo ne è ben consapevole: «Per promuovere la pace – ha anche detto in quella che era la liturgia vigiliare della Giornata mondiale – occorre vincere la paura e sperare perché Dio non ci abbandonerà. Ma occorre anche darci da fare, prevenire la protesta, le divisioni, il malessere sociale che crescendo potrebbe portare a forme di intolleranza, di episodi violenti – Dio non voglia! -, di insofferenza verso la politica – forma democratica di partecipazione dei cittadini alla conduzione della cosa pubblica». Una voce, quella di Parmeggiani, che si fa carico dell’ansia della gente: «Sicuro di interpretare anche il vostro pensiero – ha detto – vorrei, nel rispetto dei tempi che la magistratura deve prendersi per portare a termine le proprie giuste indagini, fare appello a tutte le istanze governative, regionali, dei comuni i cui cittadini fanno riferimento all’ospedale di Tivoli, a tutti coloro che in qualche modo possono fare qualcosa affinché il San Giovanni venga riaperto in toto e al più presto. La cura del prossimo che è ammalato è una forma speciale per generare rapporti umani autentici, per dare serenità a chi è malato e ai suoi familiari. Se desideriamo la pace chiedo con umiltà, ma anche con determinazione che tutti – a partire dagli amministratori della cosa pubblica ai più alti livelli – si impegnino a far sì che i servizi essenziali da dare a questa città, a partire dall’ospedale – forma eminente di riconoscimento dei diritti dei cittadini alla salute e alla sicurezza – siano al più presto riattivati».

La morte nel Napoletano di una bambina di tre mesi per la chiusura del Pronto soccorso vicino alla sua casa è un monito per tutti: «Nelle forme che ci sono possibili – ha concluso Parmeggiani – impegniamoci tutti affinché si realizzi il nostro desiderio. So che il sindaco sta facendo tanto, ma non basta. Impegniamoci con la preghiera, contattando e sollecitando chi può intervenire economicamente e con provvedimenti speciali e d’urgenza a favore di questa ferita che rimarginandosi darà serenità e prospettiva di futuro alla nostra comunità».

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