venerdì 31 luglio 2015
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Nella miriade di slides, tweet e sms piovuti da Palazzo Chigi in questi 17 mesi di attività, il Sud si è smarrito. Si può dire che è il grande assente delle politiche economiche nazionali. Persino l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si spinse a dire ai primi di giugno, durante un convegno a Napoli, che «delle politiche di programmazione per il Mezzogiorno non c’è più traccia». Una dimenticanza, a ben guardare, forse voluta alla luce del fiume di denaro pubblico che nei decenni è stato assorbito dalle Regioni del Meridione, con esiti che sono sotto gli occhi di tutti. Meglio destinare le risorse altrove, deve aver pensato Matteo Renzi. Nemmeno si può parlare, in questo caso, di promesse mancate, l’accusa che più spesso viene mossa al presidente del Consiglio. Emblematica è la vicenda dell’ultima Legge di stabilità, quando Matteo 'il Rottamatore' ha deciso di dirottare 3,5 miliardi di euro dai fondi europei per il Sud ai più 'redditizi' (in termini di esiti immediati) sgravi contributivi dei contratti su scala nazionale, destinati peraltro a portare effetti più al Nord che al Sud. La giustificazione è stata che si trattava di somme ancora non impegnate dalle Regioni. I soldi - pochi di questi tempi - vanno selezionati e messi solo dove serve, è il pensiero del premier. Né pare scorgersi all’orizzonte un cambio di rotta. Il già pluriannunciato mega-piano di riduzione fiscale (se vedrà la luce) da almeno 35 miliardi nei prossimi 3 anni è destinato ad assorbire tutte le già magre risorse disponibili nel bilancio pubblico. Anzi, semmai i risparmi sulla spesa necessari per finanziarlo sembrano destinati a ripercuotersi soprattutto al Sud. D’altronde un altro intervento già annunciato per giugno (e atteso specie da Roma in giù, dove il numero dei poveri e dei disagiati costituisce la gran parte di quei 10 milioni circa di 'esclusi' che fanno balzare l’Italia al terzo posto fra i Paesi dell’Ocse, dopo Grecia e Spagna), ovvero il piano contro la povertà a cura del ministro Poletti, sembra finito nel dimenticatoio.  Il primo segnale di disattenzione sta nella stessa struttura del governo. L’ultima volta che è venuta a Roma la commissaria europea per la politica regionale, Corina Cretu, ha incontrato il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti. Ma la delega agli Affari regionali, dopo l’addio del ministro Lanzetta, è direttamente nelle mani del presidente del Consiglio. Quella alla coesione territoriale (competente sui fondi  Ue) ce l’aveva Delrio, quando era lui sottosegretario a Palazzo Chigi. Già una 'retrocessione', per di più, rispetto al rango di ministro che era stato assegnato nei due precedenti governi a Barca e Trigilia. Ora non si sa più bene chi se ne occupi. Si procede, insomma, in modo confuso.  Anche per questo il nuovo ciclo 2014/20 dei fondi Ue, che prevede l’utilizzo di circa 44 miliardi (non tutti destinati al Sud, però), accusa più d’un anno di ritardo. La stessa Agenzia per la coesione, dopo oltre un anno dalla sua creazione, non è ancora operativa al 100%. A tali fondi Ue l’Italia dovrebbe garantire come sempre un cofinanziamento con fondi nazionali al 50%. In realtà il governo ha ridotto al 25% i cofinanziamenti ad alcune Regioni (Campania, Calabria e Sicilia), penalizzate perché poco efficienti nella spesa, al contrario di Puglia e Basilicata. L’azione dell’esecutivo si è concentrata sulla soluzione delle crisi occupazionali, come per l’impianto Whirlpool di Carinaro (Caserta). Di recente Delrio ha sbandierato come dato dimostrativo dell’attenzione al Sud l’aumento nel 2014 del 44% dei bandi per opere pubbliche. Ma finché l’alta velocità ferroviaria si ferma a Salerno, resta difficile parlare di veri risultati.
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