Elisabetta Belloni
Sergio Mattarella non si dà per vinto. Oggi pomeriggio è pronto a dare l’incarico per il «governo di servizio». Al massimo domani, data per la quale, però, ha in programma una breve visita a Firenze. Ancora conta di poter evitare un drammatico, e senza precedenti, nulla di fatto della legislatura. L’amarezza c’è, e quella espressa davanti alle telecamere lunedì sera è contenuta, frenata non solo dal garbo istituzionale, ma anche dalla sottile speranza che qualcosa si muova, fuori tempo massimo. I segnali dicevano ieri di un centro destra in ebollizione. Ma il famoso passo di lato di Silvio Berlusconi per l’ennesima volta prospettato dalla Lega, era smentito in serata ancora una volta dal diretto interessato.
Mattarella, credendoci poco, aveva concesso una piccola proroga. Senza farsi 'bruciare' dall’ennesimo traccheggio anche la 'orribile data' dal 22 luglio. L’ultima data disponibile per non andare al voto in autunno, foriero con altissime probabilità di un disastroso esercizio provvisorio. E ora si rischia il salto nel buio, in assenza di adesioni al «governo di servizio » all’infuori del Pd, e in presenza di secche, persino sgarbate, ostilità da parte dei due partiti maggiori. E dire che verso di loro aveva usato la massima delicatezza possibile, Mattarella, mettendo in campo i due presidenti delle Camere come esploratori per non bruciare i due leader. C’è delusione, nel suo animo. C’è amarezza.
L’occasione per manifestarla la offre il saluto in programma a Quirinale per le due squadre finaliste di Coppa Italia, Milan e Juventus. Si parla dell’arbitro, figura a lui cara. «I vostri discorsi - dice rivolto ai capitani a Buffon e Bonucci - mi hanno fatto pensare alle squadre che concorrono e si rispettano, avendo a cuore la correttezza. Questo mi ricorda gli arbitri, i miei colleghi». Torna allora al suo discorso di insediamento quando, paragonandosi proprio agli arbitri assicurò la sua imparzialità, «guadagnandomi un applauso - ricorda - , poi ho detto che i giocatori lo devono aiutare con la loro correttezza e anche qui è scattato un applauso con qualche segno di sorpresa».
Poi torna su un concetto usato tempo fa ricevendo le scolaresche, ma che oggi assume un particolare sapore, molto amaro: «L’arbitro può condurre bene un incontro se ha un buon aiuto, correttezza e impegno leale. Quando l’arbitro non si nota - ha concluso - vuol dire che i protagonisti stanno svolgendo alla perfezione il loro compito. E l’arbitro, un buon arbitro, spera di non essere mai notato».
Messaggio chiaro: se ora il lavoro di Mattarella si nota, eccome, è perché i calciatori non sono stati corretti, non hanno fatto il possibile per dar vita a quell’accordo fra 'diversi' reso necessario dal sistema tripolare in cui nessuno è autosufficiente. E non fanno nessun passo neanche ora che i rischi sono stati squadernati davanti agli occhi di tutti: un voto inedito mentre tanta gente è in ferie, un possibile assalto speculativo ai danni del sistema Paese in caso di mancata approvazione della legge di Bilancio, e un conseguente aumento dell’Iva al 25 per cento per effetto delle clausole di salvaguardia. Un piccolo anticipo di scenario lo hanno offerto ieri i mercati con i listini in perdita più delle altre piazze europee, e lo spread pericolosamente risalito di circa 10 punti.
Segnali che Mattarella ha seguito con apprensione, ma anche con la sottile speranza di un ritorno di consapevolezza nei suoi interlocutori. Ma in serata la gelata della nota di Forza Italia faceva tramontare ogni residua ipotesi di alleanza politica maggioritaria. Resta sullo sfondo una ipotesi che dalle forze politiche qualcuno prospetta. Un governo sostenuto dal solo Pd e pochi altri 'minori' con i partiti maggiori astenuti, per prendere tempo e rinviare il voto di un po’. Ipotesi un po’ assurda, ma meno dell’altra che si profila: un governo bocciato che resti in carica fino a luglio per gli affari correnti e gestire il voto in maniera imparziale. Il nome che Mattarella farà dipende molto da questa angusta prospettiva che l’esecutivo rischia di avere.
Il nome più accreditato resta quello di Elisabetta Belloni, segretaria generale della Farnesina. Ha dalla sua un buon rapporto con il primo partito, il M5s, lo standing internazionale necessario a rassicurare le cancellerie europee, e - circostanza non irrilevante - la possibilità di rientrare al suo posto una volta esaurito l’incarico. Che, in alternativa, potrebbe essere anche gli Esteri. All’Economia potrebbe invece andare Salvatore Rossi, direttore di Bankitalia, ma si fa anche il nome di Carlo Cottarelli, ex commissario per la spending review. Saltano invece uno dopo l’altro nomi circolati, da Marta Cartabia a Lucrezia Reichlin, proprio per la precaria prospettiva del’esecutivo.
Fuori gioco anche ex ministri come Enzo Moavero Milanesi, per il criterio ulteriore che il Quirinale si è dato (nessun ex ministro) oltre alla garanzia già offerta che nessun ministro si sarebbe dovuto ricandidare. Un tentativo estremo, questo, di togliere alibi ai partiti, per strappare un ultimo gesto di responsabilità. L’alternativa, invece, è quella di assumersele con gli elettori, le responsabilità di un 'no' molto gravoso per le sorti del Paese.