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Dieci anni dopo, le parole di Papa Francesco a Lampedusa “restano ancora attuali, ma inascoltate”. Lo dice Salvatore Vella, che guida la Procura di Agrigento - competente per Lampedusa - e che però quelle parole se le ripete ad ogni sbarco. “Noi nelle migliaia di persone che continuano a sbarcare a Lampedusa vediamo davvero le vittime della “globalizzazione dell’indifferenza” di cui parlava il Papa, oramai quasi non si versano più lacrime davanti agli scartati”. Le inchieste però non si fermano e hanno permesso di ricostruire la filiera del traffico di esseri umani che, specialmente in Libia, coinvolge anche figure della “zona grigia”, a metà tra miliziani, capiclan ed esponenti delle Istituzioni governative degli stati del Nord Africa.
Se Lampedusa continua a essere la prima linea, la risposta delle Istituzioni nazionali non sembra però all’altezza: “Su 12 magistrati in organico in Procura, soltanto 7 sono in servizio, e i prossimi arriveranno alla fine di gennaio 2024. Da 18 mesi manca il Procuratore Capo e da anni non abbiamo il dirigente amministrativo”, così Salvatore Vella svolge in pratica tre ruoli contemporaneamente: “Mi occupo anche della dichiarazione dei redditi del mio Ufficio”, dice senza troppo lamentarsi.
In questo periodo nel 2022 gli sbarchi erano stati poco più di 30 mila, quest'anno sono già 67mila. Cosa vi aspettate?
“Le proiezioni ci dicono che potremmo attenderci più di 200mila arrivi di persone nel 2023, numeri mai visti finora. Intanto il fronte delle partenze si è allargato coinvolgendo ampiamente la Cirenaica e la Tunisia, come avevamo previsto. Con presenze e modalità che è impossibile sfuggano alle Istituzioni locali africane”.
A cosa si riferisce?
“Dalle testimonianze che raccogliamo e dai dati sulle nazionalità abbiamo osservato un continuo arrivo di migranti dal Pakistan e dal Bangladesh. I trafficanti asiatici offrono veri e propri ponti aerei da quegli Stati alle coste africane in aereo”.
Dove atterrano?
“Se in passato i principali scali di destinazione erano soprattutto in Egitto, adesso sappiamo che atterrano anche in Libia, in Cirenaica”.
Si tratta della regione sotto il controllo del generale Haftar. Come è possibile aggirare i controlli?
“Riteniamo sia impossibile che le polizie di frontiera e le Autorità che gestiscono questi scali non si avvedano di questi arrivi e non sappiano che fine facciano tutte queste persone, parliamo di decine di migliaia di migranti”.
Dalla parte opposta, sono aumentate le partenze dalla Tunisia. Come arrivano lì migranti e profughi?
“Va ribadito: continuiamo a registrate migliaia di tunisini tra le persone che sbarcano a Lampedusa. Ma dalla Tunisia oggi partono soprattutto subsahariani e asiatici. Dalle testimonianze che raccogliamo, attraverso la Polizia di Stato di Agrigento, sembra emergere come le partenze dalla Tunisia sono gestite da organizzazioni criminali tunisine, che si avvalgono dell’ausilio di “procacciatori di affari” di quelle etnie per reclutare migranti loro connazionali. Al momento la Tunisia è la sesta nazionalità tra quelle in arrivo, dopo Costa d’Avorio. Guinea, Egitto, Bangladesh e Pakistan. Molte di quelle persone per raggiungere la Tunisia attraversano la Libia”.
Avete prove di collegamenti tra criminalità tunisina e libica?
“Non abbiamo elementi per poter affermare se vi è un accordo diretto tra trafficanti libici e tunisini. Quello che sappiamo per certo, attraverso le numerose testimonianze che raccogliamo, è che tanti hanno deciso di miraggiungere la Tunisia, perché considerata meno pericolosa per i migranti rispetto alla Libia. Ma allo stato non possiamo escludere che questi “passaggi” da un Paese all’altro siano frutto anche di una joint-venture tra gruppi criminali nei due Paesi”.
Quale è la situazione dei campi di detenzione in Libia?
“Rimane terribile. Possiamo paragonarli ai “campi di prigionia e sterminio”, già visti in altri luoghi o epoche storiche. Luoghi nei quali avvengono abusi, torture, omicidi, violenze sessuali su donne, su uomini e sui bambini. Gli elementi che raccogliamo ci consegnano testimonianze orribili, disumane. Proprio il mese scorso, grazie al lavoro della Squadra Mobile di Agrigento abbiamo individuato e fermato un torturatore nigeriano, che aveva “lavorato” in un campo di prigionia della zona di Zawyah, in Libia”.
Può dirci se sul registro degli indagati avete iscritto anche personaggi che in questo momento si trovano all’estero e se tra questi vi sono esponenti delle istituzioni locali?
“Posso dire che vi sono indagati di vari Paesi, dalla Libia al Sudan. Vi sono personaggi appartenenti a quel mondo che negli anni anche il vostro giornale ha investigato e fatto conoscere. E sappiamo anche che molto del nostro lavoro ha contribuito alle indagini della Procura presso la Corte penale internazionale. Purtroppo, non abbiamo attività di cooperazione giudiziaria con le autorità giudiziarie di Libia e Tunisia”.
I libici indagati sono espressione della criminalità organizzata o uomini delle istituzioni?
E’ estremamente complicato talvolta distinguere gli uni dagli altri. Le testimonianze dei migranti spesso ci descrivono la presenza, tra i trafficanti, di uomini armati in divisa, ma tranne alcune figure di vertice, come quelle individuate e fatte conoscere da Avvenire in questi anni, nel contesto libico è complicato distinguere tra bande criminali, milizie, gruppi armati, e quanti tra questi sono affiliati direttamente alle varie branche delle Istituzioni libiche. Perciò ritengo che la strada migliore, pur con difficoltà e limiti, sia quella di continuare a usare gli strumenti della Giustizia internazionale.
In questi anni avete sottoposto a indagine anche le Organizzazioni umanitarie di soccorso. Avete trovato riscontri o qualche indizio di possibili collegamenti tra Ong e trafficanti?
Era una ipotesi investigativa. Abbiamo fatto il nostro lavoro, abbiamo cercato riscontri concreti, ma non abbiamo trovato alcuna traccia di ipotetici collegamenti tra Ong e i terribili trafficanti di esseri umani libici. La nostra Polizia giudiziaria ha lavorato a fondo su tali teorie e non è mai stato trovato nulla di concreto.
Ritenete che la presenza dei soccorritori in mare sia un fattore di attrazione per i barconi?
Nella mia esperienza pluridecennale su questi fenomeni, posso dire che a governare le partenze nella maggior parte dei casi sono esclusivamente le condizioni meteomarine del Canale di Sicilia, unite alle condizioni socioeconomiche o politiche dei Paesi di partenza dei migranti, in continuo mutamento. Ciò che fa migrare gli uomini sono ancora la fame, la guerra e la malattie.