I pubblicitari più sensibili all’etica non hanno digerito il primo spot dell’Expo. In sostanza, dicono le critiche, si tratta di un errore comunicativo perché nei 30 secondi che annunciano l’esposizione internazionale del 2015 a Milano, «Made of italians», si vedono italiche tavolate e non trova spazio il tema della manifestazione «Nutrire il pianeta energia per la vita». Che traina riflessioni non solo sulla qualità del cibo, ma tocca il nodo della condivisione dei beni su scala globale, del diritto alla nutrizione e della sovranità alimentare. Invece nel mezzo minuto di video si ironizza sui vizi nazionali e si reclamizzano solo la genuinità degli ingredienti e la capacità del Belpaese di organizzare banchetti e accogliere turisti. Ma non v’è cenno ai valori.«Che sono invece quelli che hanno determinato la scelta di Milano come sede dell’Expo – commenta Rossella Sobrero, presidente dell’agenzia di consulenza etica Koinètica e docente di Comunicazione Pubblica all’Università degli Studi – grazie alla coraggiosa proposta di riflettere sulla nutrizione e l’energia su scala globale. Vuol dire ad esempio trattare di povertà e disuguaglianze, del significato del cibo nei paesi in via di sviluppo, di sprechi ed eccessi in Occidente. Francamente il primo spot mi ha lasciato perplessa. Capisco che si tratti di uno spot istituzionale, ma non si è capito quale sia il cuore di Expo».Chiediamo a Roberto Fiamenghi, creativo di grande esperienza, se già all’inizio di questa campagna pubblicitaria andavano affrontati temi scomodi come la fame nel mondo. «Perché temi scomodi? Se la gente muore di fame e ultimamente abbiamo problemi anche in Italia, dobbiamo comunicare questo messaggio forte e gratificante: l’Expo italiano si occuperà di questioni globali strategiche. Poi è contraddittorio definirlo evento di tutti gli italiani, l’esposizione è planetaria. Mi aspettavo uno spot sociale, non è sbagliato avere più coraggio e toccare i sentimenti».D’accordo anche Pietro Greppi, creativo attento al sociale (ha "inventato" la testata di strada Scarp de’ tenis), oggi consulente etico di campagne pubblicitarie.«Intanto non si è capito nemmeno dopo questo spot cosa sia Expo. Sembra il filmato di un’azienda produttrice di cibo. Avrei puntato sulle filiere alimentari, sul valore del cibo nelle diverse culture e sulla povertà».Alberto Contri, presidente di Pubblicità Progresso, vede un’eterogenesi dei fini. «Il messaggio è in contraddizione con il tema che propone di nutrire il pianeta. E la tavolata mi ricorda la spocchiosa risposta di Maria Antonietta: il popolo non ha pane? Che mangino brioches. Non credo verrà trasmesso all’estero, ma se lo vedono sulle altre sponde mediterranee, passa l’immagine del paese sempre a tavola e alimentiamo altra immigrazione illegale». Occorre insomma costruire un cammino partendo dal discorso di Sant’Ambrogio del cardinale di Milano Angelo Scola che sottolineava tra l’altro come il valore del cibo non potesse essere assoggettato alle leggi di mercato. Gli spazi ci sono: la Santa Sede esporrà in un padiglione la propria visione sul senso religioso del cibo come bene da condividere e la Caritas proporrà diverse iniziative di sensibilizzazione sul tema della fame e del cibo come diritto di tutti.«In quei sei mesi– spiega Luciano Gualzetti, rappresentante della Caritas – faremo il punto: nel 2015 il mondo doveva centrare l’obiettivo del dimezzamento della fame globale fissato dall’Onu a fine anni 90. Porremo domande su come nutrire il pianeta, fronteggiare le ingiustizie e riflettere sugli stili di vita. È partita una campagna di tutte le Caritas mondiali che si concluderà lì e porterà dopo l’evento a proporre leggi nazionali per garantire il diritto al cibo anche in Italia»Insomma è importante una comunicazione coerente. Che per don Massimo Mapelli, neo vincitore dell’Ambrogino d’oro per la solidarietà, ultimo dei "pretacci" di strada milanesi ruota attorno a un concetto: «Non ci sarà Expo se tutti non avranno il cibo e non verranno accolti». Come si dice in gergo, ecco il Pay-off per il prossimo spot.