«Non esiste il candidato di questo o di quello, il mio nome o quello di Berlusconi o quello di M5S. Esiste il candidato sul quale si aggrega il consenso più ampio». Matteo Renzi tira il fiato dopo una giornata faticosa, in cui è stato attentissimo a non sbottonarsi mai, al punto di lasciare anche un filo di irritazione nei suoi interlocutori. Nella rosa ci sono tutti, «senza preclusioni e pregiudizi»: Mattarella, Padoan, Finocchiaro, Delrio, Visco, Gentiloni, Fassino, Veltroni. I primi tre su tutti gli altri. Il primo una spanna sopra perché rappresenta il punto di equilibrio tra la grande paura di Berlusconi, trovarsi Prodi sul Colle più alto, e l’estrema frantumazione che dilania gli ex Ds. Con una nota positiva aggiuntiva: la possibile convergenza sul giudice costituzionale di Sel e forse degli ex Cinquestelle. Ma saranno ore dure, le prossime. Tutti vorranno quel nome, quel benedetto nome. «Ma ho fatto bene a non sbilanciarmi, e non lo farò fino a quando non avrò la certezza matematica, aritmetica, di non perdere. E poi avete visto cosa hanno fatto i partiti? Sono andati fuori un secondo dopo la consultazione e hanno portato la loro versione dei fatti, che non è la mia. Pensate se avessi fatto mezzo nome...». La bruciatura più forte del pomeriggio di ieri è stata la voce per cui lui preferirebbe un politico e non un tecnico. «Una sciocchezza, non c’entra nulla». Un
rumor che avrebbe potuto mettere fuori gioco uno dei candidati più forti, Pier Carlo Padoan, nome che invece Renzi tiene ben custodito nella cartellina 'Quirinale'. «Lo so, rischierò molto giovedì e venerdì», sospira il premier tirando le somme della giornata. La scelta, per ora confermata, è quella di imporre al Pd di votare scheda bianca nelle prime tre votazioni. Idem faranno Fi e Ncd, forse anche Sel si adeguerà, consentendo di verificare subito i numeri disponibili dalla quarta chiama in poi, quando basta la maggioranza assoluta e non quella qualificata dei due terzi. Gli uomini del premier hanno già fatto arrivare una indicazione chiara ai grandi elettori democrat: non fermarsi nemmeno un secondo nel 'catafalco', la speciale urna per gli scrutini del Colle. Chi non eseguirà l’indirizzo generale, sarà immediatamente individuato. «Io non minaccio nessuno, ma deve essere chiaro a tutti che il Pd stavolta rischia grosso, rischia di finire davvero in frantumi se si ripete il disastro del 2013». Eppure il premier è pieno di dubbi. Alla prima votazione, se M5S si convincesse a votare Prodi, con la complicità eventuale dei fittiani di Fi, potrebbero aggregarsi 150-200 voti sul Professore anche senza franchi tiratori del Pd. A quel punto chiunque nella minoranza dem potrebbe alzarsi e dire: «Aggiungiamo i nostri ed è fatta». Uno scenario che Renzi tiene in conto. Perciò sul tavolo restano diverse opzioni metodologiche. La prima, comunicare il nome 'giusto' già nella riunione dei grandi elettori Pd di giovedì mattina. La seconda, tenere le carte coperte sino a sabato mattina, sino alla vigilia del quarto scrutinio. La terza, sparigliare e andare all’attacco con il candidato figlio dell’accordo più ampio già dalla prima votazione. La quarta, votare scheda bianca al primo giro e poi far salire il candidato ideale dalla seconda o terza chiama. A mettere la pulce nell’orecchio del premier circa il rischio di tenere il Parlamento a bagnomaria per ben 48 ore è un esponente centrista salito ieri al Nazareno: «Presidente, le reggi tre chiame con scheda bianca? Hai idea dell’inferno dentro e fuori l’Aula?». Il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda, lì vicino a Renzi, annuiva: «Effettivamente...». La partita è ancora molto confusa. Non è solo il nome di Prodi - usato da vari fronti della minoranza - a mettere lo scompiglio, ma anche le pressioni trasversali su Giuliano Amato. È soprattutto Berlusconi a rilanciare questo nome che trova più «suo» di altri, e che trova sensibili diversi pezzi della sinistra. E poi c’è quel pressing indiretto e sottile proveniente dai partner europei e internazionali che chiedono un presidente della Repubblica esperto di questioni internazionali. Mentre il premier è profondamente convinto che il prossimo capo dello Stato debba essere un servitore delle istituzioni, un garante che però non è più chiamato al ruolo di supplenza svolto da Napolitano. Perciò di fronte alle lamentele dell’ex Cav e dei suoi durante le consultazioni, Renzi si irrigidisce: «Abbiamo il 47 per cento dei grandi elettori, penso che nessuno possa metterci veti di alcun tipo». E proprio per consolidare questo patrimonio, oggi potrebbe vedere Bersani.