A volte bastano quattro giorni di ferie per ricaricare le pile, assorbire le sconfitte politiche, azzardare un rilancio. Graziano Delrio, forse il primo amministratore del Pd a 'vedere' la leadership di Renzi quando l’attuale segretario dem era considerato dal partito una sorta di alieno, sistema in una cartellina le carte del prossimo dossier da affrontare al ministero dei Trasporti, il caso Alitalia. Uno degli infiniti tasselli da rimettere a posto. Anche se, inutile negarlo, nella testa c’è lo scenario di un voto che potrebbe arrivare entro l’estate. Una scadenza vicina che impone di pensare a un progetto nuovo. «Ho detto a Matteo una cosa, una cosa soltanto, la notte del 4 dicembre: non possiamo morire schiacciati tra populismo e capitalismo rapace. I mesi che abbiamo davanti dobbiamo utilizzarli per fare una proposta vera che combatta le cause autentiche della disuguaglianza. La politica non serve ai ricchi, quelli fanno da sé. Serve ai più deboli. Alle famiglie. A chi rischia di perdere reddito. La politica deve creare lavoro per chi non ne ha. Non possiamo presentarci ai cittadini e agli elettori senza un’identità chiara e netta sui temi sociali. Senza, per essere chiari, una posizione forte contro la finanza malata che condiziona l’economia reale e la vita delle persone. I nuovi poveri, non lo dimentichiamo, sono ancora i figli della crisi finanziaria del 2008. Non meravigliamoci se le classi sociali più deboli hanno votato Trump negli Usa e la Brexit in Inghilterra. Le classi dirigenti del secolo scorso affrontarono le rendite di posizione con l’economia sociale di mercato, con il welfare. Questo Paese ha bisogno di un partito che prende le parti del popolo non con la demagogia ma con scelte coraggiose».
Ministro, vuol dire che il precedente governo è stato timido sul sociale?
No. E non è una difesa d’ufficio. Questo Paese non aveva uno strumento contro la povertà, e ora è sul punto di averlo. Era stato svuotato il Fondo per la non autosufficienza, ora di nuovo finanziato. Il Servizio civile era distrutto e ora è ripartito. Ci siamo mossi sul sociale sin dal primo giorno, ma forse abbiamo sottovalutato la portata dei fenomeni che si muovevano intorno a noi su scala europea e globale.
Ora ci sarebbe la possibilità di recu- perare subito tempo facendo partire il Reddito d’inclusione, e invece anche tra i ministri e nella maggioranza si discute sull’opportunità o meno di un decreto. Il Paese non capisce...
E infatti il dibattito sullo strumento legislativo è davvero relativo. In un mese il Senato può chiudere l’iter della legge delega. Nel frattempo i decreti attuativi si possono già scrivere, non c’è bisogno di aspettare. Ci sono da chiarire alcuni aspetti tecnici su beneficiari e meccanismi di erogazione, ma ciò non richiede certo tempi biblici. La volontà del governo e del Parlamento c’è. Ricordiamoci però che la ratio di questa misura è aiutare le persone a uscire dall’indigenza, non dare l’elemosina o piazzare una bandierina politica.
Difficile però combattere la povertà diffusa nel Paese con 1,8 miliardi. E certamente non appare felice la coincidenza tra la difficoltà a condurre in porto questa misura e la facilità con cui sono stati stanziati 20 miliardi per le banche in crisi...
Chiariamoci su questo punto: senza la garanzia una tantum di 20 miliardi per le banche avremmo portato sulla soglia di povertà svariate altre migliaia di famiglie e persone. Quanto alla dotazione dello strumento anti-indigenza, è corretta la stima di 7 miliardi dell’Alleanza contro la povertà. Chiunque governi, ci dobbiamo arrivare progressivamente. Noi, lo ricordo in un Paese che sembra sempre più senza memoria, partivamo da zero.
Lei ha nove figli e viene dalla tradizione cattolico-democratica: ritiene sufficienti le politiche familiari del governo Renzi?
Anche qui, prenderei il punto di partenza, ovvero il poco, il pochissimo che abbiamo trovato. Ora c’è un sostegno robusto a chi ha figli, un’integrazione del reddito per chi deve sostenere le prime spese per un bimbo. È chiaro che bisogna fare di più. Credo che il prossimo programma del Pd non debba aver paura di mettere la famiglia al centro e riconoscere che nelle fragilità della famiglia si insinua lo spettro della povertà.
Parla di programma, quindi non è tentato come altri dalla voglia di concludere la legislatura...
La premessa è doverosa: il governo Gentiloni e il voto sono nelle mani del Parlamento e del capo dello Stato. Però l’orizzonte che ha davanti, a mio parere, non è lungo. I cittadini e gli elettori vanno rispettati: il 4 dicembre hanno espresso un chiaro bisogno di partecipare e ridefinire lo scenario politico. Non essendo possibile votare a febbraio, la maggioranza si è fatta carico di un esecutivo di servizio che accompagni il Parlamento nel periodo che servirà a definire le regole elettorali. Dire che questo processo si conclude entro giugno mi sembra plausibile. Il 24 gennaio, con la sentenza della Consulta sull’Italicum, i tasselli saranno più chiari e tutti dovranno uscire allo scoperto.
Lei si è rassegnato al ritorno al proporzionale?
Francamente no. Ricordo bene la debolezza dei governi quando era in vigore il proporzionale puro. E governi deboli sono a discapito di chi ha bisogno, non di chi sta bene e vive di rendita. Io prediligo il Mattarellum, con tutti i ritocchi che si ritengono necessari. È una proposta che facciamo a tutti, senza interlocutori privilegiati. Lega ed M5S, se davvero vogliono andare al voto, si facciano avanti. Dialoghiamo con tutti, senza pregiudizi. E chiediamo a Forza Italia di non porre veti.
Resta il tema: quale Pd si presenta ai cittadini dopo la 'botta' del 4 dicembre? E come si imposta una campagna elettorale partendo dall’ipotesi che lo sbocco possano essere le larghe intese con Forza Italia?
E infatti questo per me non è lo sbocco obbligato, non si parte da questo esito ineluttabile. Per me la vocazione maggioritaria del Pd resta. Se ci diamo un’identità sociale forte e se non cediamo al proporzionale puro possiamo giocare pienamente la partita di una 'terza via' tra il populismo e la consegna della politica al capitalismo rapace.
In diversi però, nella maggioranza e nell’opposizione, stanno sottolineando la 'discontinuità' di Gentiloni forse anche per rafforzare l’ipotesi di concludere la legislatura...
Tra Paolo e Matteo c’è continuità assoluta. I toni, certo, sono diversi. E anche il contesto. Matteo prese un Paese immobile e doveva fare tutto in fretta per non restare impantanato. Paolo può lavorare su obiettivi precisi e specifici. Ma la visione del Paese e dei futuri scenari politici è identica.
Si è parlato anche di lei come 'premier di servizio'. E il suo rapporto con Renzi è sempre oggetto di indiscrezioni, presunti avvicinamenti e allontanamenti. Che vento tira?
Con Matteo il sodalizio è sempre forte. Resto il 'fratello maggiore', e i fratelli si dicono le cose faccia a faccia, senza complessi, con amicizia. Io premier? Gentiloni è molto bravo.