È normale che, alla nascita di un nuovo governo, in qualsiasi settore sociale e professionale si manifestino attese e speranze. La scuola non fa eccezione, anche perché negli ultimi anni è uno degli ambiti che più ha sofferto di tagli e disinvestimenti. Guardo anch’io con curiosità e speranza al nuovo esecutivo, come tanti miei colleghi insegnanti, come coloro che prima di me ci hanno ragionato su queste colonne. Del resto, le parole del premier Matteo Renzi sono state chiare e impegnative: «Investire sulla scuola è il modo per uscire dalla crisi».In questi giorni mi è capitato tra le mani un libro,
Strade parallele (la scuola, la vita), scritto a quattro mani per l’editore Audino da Fiorenzo Alfieri e Leonardo Menon: un nonno che alla scuola ha dedicato gran parte della propria vita e un nipote adolescente che oggi frequenta il liceo. Questo quindicenne lancia un accorato appello: la richiesta di una scuola capace di trasmettere la passione per la conoscenza, attraverso l’entusiasmo dei suoi docenti. È proprio questo che dobbiamo ridare a chi insegna: l’entusiasmo e l’orgoglio di questa professione. Nessuno potrebbe pensare che l’insegnamento sia equiparabile a un qualsiasi altro lavoro d’ufficio. Il ruolo dei maestri e dei professori è delicatissimo, perché per molte ore ogni giorno hanno nelle loro mani la cosa più preziosa di un Paese, i giovani, cioè il futuro. Questi ultimi hanno diritto di vedere in cattedra non delle persone stanche, sfiduciate, frustrate, ma degli adulti preparati, motivati, attenti, in una parola – appunto – entusiasti. Perché l’entusiasmo – come la noia e la frustrazione – è contagioso: se sei un maestro appassionato, trasmetti ai tuoi ragazzi la passione per ciò che insegni.Ma quanti insegnanti italiani oggi lo sono? Chi dà loro la passione e l’entusiasmo che gli studenti – giustamente – ricercano? Il tema non è soltanto l’età media molto alta della classe insegnante, con il carico di stanchezza e magari di assuefazione alla routine che ciò comporta, e neanche la questione del reclutamento, su cui pure ci sarebbe da discutere. Proviamo invece ad affrontare la questione in maniera molto più semplice, ponendoci una domanda banalissima: quando un professionista lavora con passione ed entusiasmo? Quando è posto nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro al meglio, quando l’ambiente in cui trascorre le sue ore lavorative è funzionale e accogliente, quando i risultati che consegue vengono riconosciuti e valorizzati, quando il suo ruolo è apprezzato dal punto di vista sociale, quando ai suoi sforzi corrisponde una retribuzione adeguata. Lasciamo stare quest’ultimo punto, perché ci sarebbe da parlare di un contratto nazionale scaduto da 5 anni, del blocco degli scatti di carriera, eccetera eccetera. Quanto agli altri punti, si tratta di sciorinare un lungo, triste e in gran parte già noto
cahier de doléances. Ma è bene che il nuovo governo l’abbia chiaro davanti a sé. Sappiamo che l’alto numero di studenti per classe rende la didattica sempre più faticosa e meno efficace, che la mancanza di stanziamenti per le nuove tecnologie ha reso spesso soltanto un miraggio il loro utilizzo nelle aule, che gli edifici scolastici cadono a pezzi (e pezzi di edifici scolastici cadono letteralmente in testa a ragazzi e insegnanti), che non esiste alcun incentivo al merito dei docenti.Sono possibili passione ed entusiasmo in queste condizioni? Sì, lo sono, per molti che hanno scelto l’insegnamento per una sorta di vocazione missionaria. È su di loro che si regge, nonostante tutto, l’eccellenza della scuola italiana. Ma si può pretendere che un’intera e così numerosa categoria professionale sia composta di missionari? Evidentemente no. Per questo occorre darsi al più presto da fare. Bisogna che si passi dai proclami retorici a un progetto serio di riqualificazione del sistema.Il premier Renzi e il ministro Giannini hanno già posto un paio di punti, tra quelli che abbiamo ricordato sopra, tra le proprie priorità: edilizia scolastica e riconoscimento del merito. Ci auguriamo che possano mantenere fede a queste promesse - la prima, in particolare, è una vera e propria emergenza - e che riescano ad affrontare, finalmente, i problemi della scuola in maniera efficace. La svolta che il Paese si attende comincia anche da qui.