Issaka Coulibaly, ai tempi in cui giocava al calcio - Da Facebook / St. Ambroeus FC
“What’s in a name”, scriveva William Shakespeare alludendo alla relativa importanza di un nome. Eppure, per Issaka Coulibaly, questo dettaglio fa la differenza. Come molti di noi ho letto la notizia della sua morte su numerose testate di giornale e sono rimasto sbalordito. Il mio istinto professionale, come è successo in passato (L'ultimo viaggio di Tamimou e In Togo a casa di Tamimou, il migrante morto di freddo sulle Alpi) mi ha subito spinto alla ricerca della sua famiglia in Togo, il Paese dove sono nato 40 anni fa e dove risiedo da 10 anni lavorando come giornalista freelance. Ma un dubbio è subito sorto: i nomi Issaka Coulibaly (e non Coulibay, come alcuni hanno scritto) non li ho mai sentiti in Togo.
Inoltre, dopo quasi 20 anni in giro per il continente nero so che un nome del genere popola Paesi come Senegal, Mali, Burkina Faso e Costa d’Avorio. Sentivo il bisogno di verificare. Dopo aver parlato con alcuni giornalisti che si sono occupati della storia ho capito che pochi avevano cercato di approfondire le dinamiche di questa vicenda.
Ho così raccolto una decina di contatti e dopo aver condiviso le mie perplessità anche con varie amicizie italiane che da anni vivono e lavorano in Africa, sono arrivato alla conclusione che il giovane trovato morto in un edificio abbandonato di via Corelli è, molto probabilmente, originario della Costa d’Avorio.
“C’è molta confusione rispetto a questa tragedia”, ha ammesso ad Avvenire Lassane Traore, senegalese in Italia da nove anni e allenatore di Issaka. “Ho incontrato Issaka nel centro di via Corelli nel 2017 e siamo rimasti in contatto per qualche anno. La notizia della sua morte – ha continuato a spiegare Lassane – mi è arrivata da un altro migrante che però ha lasciato l’Italia per trasferirsi in Francia”.
Lassane è l’allenatore dei “Blu Boys”, una squadra di calcio composta da una ventina di migranti africani che hanno giocato su diversi campi della Brianza. Uno di questi è il St. Ambroeus di Milano. Iniziative di questo genere aiutano i migranti a dimenticare per qualche ora la propria situazione e a integrarsi con una società difficile come quella milanese.
Durante il viaggio dall’Africa all’Italia, ogni migrante ha però subito dei traumi, spesso indicibili, che a volte lo spingono a mentire sulla propria identità oppure che gli causano maggiori difficoltà nello spiegarsi in una lingua che è costretto a parlare per necessità. Anche tra gli stessi migranti, soprattutto all’inizio, aleggia un sentimento di diffidenza e riservatezza rispetto alle proprie origini e a ciò che si è vissuto. In questo contesto è quindi difficile trovare la verità.
Una di queste verità è, apparentemente, la salma di Issaka che è arrivata a dicembre in Costa d’Avorio e non in Togo. Avvenire è riuscito a ottenere un video di pochi secondi che confermerebbe tale teoria. Un ultimo dubbio riguarda invece le ragioni del decesso. Come è possibile che un essere umano muoia di freddo a Milano dopo tutto quello che ha affrontato per raggiungere l’Italia dall’Africa? Alcune fonti hanno sottolineato che “a novembre Milano non era particolarmente fredda” e che “Issaka era sempre stato in buona salute”.