ROMA Il ruolo dell’informazione sul referendum delle trivelle è decisivo e i giorni prima del voto - ancor di più le ore del giorno stesso, domenica 17 - lo saranno altrettanto. Perché, spiegano due tra i più accreditati sondaggisti, il voto referendario, diversamente da quello per le politiche o le ammi-nistrative, è di per sé meno sentito. A maggior ragione se della posta in gioco si sa poco o niente. La battaglia, come è noto si gioca tra chi andrà a votare - e per la motivazione voterà sì - e chi invece sceglierà l’astensione non solo per disinteresse, ma anche per far fallire la consultazione. Battaglia che, dopo lo scandalo emerso nei gior- ni scorsi che ha portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, potrebbe farsi meno scontata riguardo alla vittoria del fronte contrario al referendum che vuole abrogare la proroga delle concessioni. E qui le sensibilità degli studiosi si diversificano. Va capito quanto giocherà l’impegno in prima persona del premier Matteo Renzi. Anche se la questione si deciderà all’ultima ora. Per la legge in vigore, i 'maghi dei numeri' non possono fornire cifre precise per non orientare gli elettori. Ma accettano di parlare sulle grandi linee di tendenza. «In questo momento il referendum è sentito soprattutto dalla parte più politicizzata dell’elettorato. Il 10% che legge regolarmente i giornali e il 20-30% che segue attentamente la politica», esordisce
Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing. Il restante non è ancora toccato, «nonostante tutte le problematiche che ci sono state dopo il caso Basilicata ». Insomma, «a caldo non ha inciso ancora in una maggiore motivazione al voto». Decisive saranno le ultime 24-48 ore, prosegue il sondaggista. «Già per le elezioni politiche amministrative il 20% circa dell’elettorato decide con quella tempistica se e per chi votare. Figuriamoci per il referendum che è meno sentito». Al momento la tendenza dell’elettorato è stabile. «Ma questo non significa per l’appunto che non possa cambiare. Dipenderà da mille fattori che non possiamo prevedere». In questo senso «l’informazione è essenziale, perché gli italiani non capiscono cosa si va a votare e questo demotiva». E, dunque, «l’ultima settimana sarà decisiva. La comunicazione ha sempre un effetto ritardato. Per questo l’ultima settimana sarà decisiva».
Nicola Piepoli, presidente dell’istituto che porta il suo nome, conferma che «il trend è stabile, lineare » tra due settimane e mezzo fa e ieri (con prospettive più rosee per i sostenitori del «sì», sommando chi ha detto che andrà a votare certamente o solo probabilmente). «Ma attenzione, abbiamo inserito anche una domanda motivazionale, dopo il caso Guidi». E cioè sulla propensione più alta o più bassa degli stessi elettori ad andare a votare in funzione dello scandalo. «Il saldo tra positivi e negativi è stato +8. Questo significa che la propensione si è percettibilmente rafforzata. Non in chiave quantitativa, ma motivazionale. Nell’opinione pubblica è mutato l’animus a favore del voto». Ma su questa incidenza vanno tenute in considerazione due incognite. «Non ci sono precedenti tarature nel passato per valutare che peso possa esserci. E soprattutto non sappiamo quanti andranno a votare prima dell’una. Se saranno il 15% il referendum è fallito. Se sarà il 35%, la gente andrà a votare e si arriverà al 60-70%. Questa ipotesi si fonda, invece, su precedenti esperienze ».
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