La risposta si trova nell’intelligenza del cuore, lo snodo invisibile in cui anche la mente impara a vedere oltre la realtà concreta, materiale. Non il luogo della fantasia, ma uno specchio che ti proietta al di là di te stesso offrendoti l’immagine di come dovrebbe e potrebbe essere il mondo. Dicono i mistici che il segreto della preghiera consiste nel vivere il quotidiano come se le tue domande al buon Dio fossero già state esaudite. Il Vangelo in questo è chiarissimo: se avessimo fede quanto un granello di senape diremmo a una montagna “spóstati” e lei si muoverebbe. E invece la pace invocata ogni giorno non arriva, e malgrado novene e veglie la tanto agognata pioggia cede al deserto che avanza. Così hanno buon gioco gli scettici: il vostro Signore, se c’è, non vi ascolta. E magari tante volte lo pensiamo anche noi: siamo inadeguati, crediamo troppo poco, non sappiamo chiedere, domandiamo cose sbagliate.
Ecco allora l’importanza di educare l’anima, di tornare tra i banchi, verrebbe voglia di dire se rivolgersi a Dio fosse una materia di studio come la matematica o la geografia. L’anno di preghiera indetto dal Papa per il 2024 in preparazione al Giubileo dell’anno prossimo vuol essere proprio questo: una scuola, o meglio, l’indicazione che non bisogna mai smettere di prepararsi, che nella realtà dello spirito siamo tutti, sempre, principianti. E il rosario “detto” con le dita su un autobus non ha meno valore dell’inno che risuona maestoso nell’abbazia millenaria. Non è questione di merito o di importanza ma di cuore, di atteggiamento, di fiducia. Quella che figlie e figli hanno per un Padre che li ama.
Per questo non si può giudicare la preghiera solo dai risultati concreti, immediati, come se si trattasse di una magia, di un gioco di prestigio o, peggio, della logica della macchinetta, che se introduci la chiavetta o apri la app scende il caffè. Occorre invece la pazienza del contadino e uno sguardo di prospettiva. Soprattutto c’è bisogno di purificare nell’amore i sospiri del cuore che diventano domanda, invocazione, grido. Sapendo che la perseveranza può diventare un filtro, una griglia capace di separare le necessità dai capricci o dagli errori di valutazione.
La scuola, in fondo, serve a questo: a capire che primo scopo della preghiera è imparare a ragionare come il Signore, a vedere il mondo come lo guarda Lui. I santi sono felici non per incoscienza o cecità di fronte al dolore che circonda anche loro ma perché hanno scoperto che una vita riesce nella misura in cui lascia spazio alla volontà di Dio, il quale desidera il meglio per ogni sua creatura. Già oggi, non solo nell’aldilà.
Ma lo dimentichiamo troppo spesso e così finiamo per pensare il cammino di fede soltanto come fatica, sacrificio, rinuncia, mentre andrebbe considerato un percorso di liberazione da ogni catena e inutile orpello di vanità. Non a caso al Te Deum del 31 dicembre scorso il Papa ha proposto due parole cui ispirare il giudizio sul tempo e l’esistenza. Non sono “paura” e “angoscia” bensì, sull’esempio della Vergine Maria, “gratitudine” e “speranza”. Gratitudine per i passaggi del Signore nella nostra vita. Speranza come un abbraccio che avvolge i tanti bisogni del mondo. E allora bisogna pregare per le vecchie-nuove emergenze, di oggi e di sempre. Per la pace, per il rispetto e la difesa di ogni vita umana, per la salvaguardia del pianeta, per l’unità dei credenti in Cristo.
Non conosciamo come queste crisi evolveranno. Sappiamo però che il Signore ha pronta la soluzione perfetta per ciascuna di esse. Se non arriva è per gli ostacoli, gli stop imposti dalla nostra volontà libera di creature. A volte ci imponiamo catene da soli, anneriamo le strade di smog, lasciamo crescere le erbacce nel nostro prato.
La preghiera ci aiuta a trovare le chiavi per aprire i ceppi, per pulire l’aria, per far crescere le margherite nel giardino di casa. Non è magia o automatismo ma scoperta dell’intelligenza del cuore. È un percorso d’amore, gradino dopo gradino sulla scala che unisce la terra al cielo. Fino al centro del mistero. La mia preghiera?, si chiedeva l’antico maestro. Molto semplice: «Sto davanti a Lui, in ascolto, cuore a cuore».